Avviluppati in una corsa evidente a smantellare quanto fatto dai loro predecessori, Geroge W. Bush, Barack Obama e Donald Trump hanno un punto che li unisce: per tutti loro, come osserva il professor Massimo Faggioli, c’è una dimensione teologica nella presidenza statunitense. Diversi, diversissimi tra di loro, potremmo dire ingenuo Bush jr, titubante fino all’ autolesionismo Obama, pragmatico oltre il pensabile Trump, tutti e tre non hanno rinunciato alla visione teologica del proprio ruolo. Obama, per smontare la percepita “guerra all’Islam”, è andato a dichiarare che gli Usa non hanno un problema con l’Islam, al Cairo. Perché dovrebbero averlo o non dovrebbero averlo è difficile a dirsi. E’ più facile capire o criticare un presidente degli Stati Uniti che dice di avere un problema con i musulmani o con alcune loro scuole di vita, è più facile capire o criticare un presidente degli Stati Uniti che dica di non avere un problema con i musulmani o alcune loro scuole di vita, ma un presidente degli Stati Uniti che dica di avere o di non avere un problema con l’Islam… Dunque sappiamo da anni che l’Islam è una religione presa a interlocutore, problematico o non problematico, dalla Casa Bianca. Trump infatti ha fatto lo stesso, andando a dire grosso modo lo stesso del suo poco amato predecessore.
Due punti mi hanno colpito di Trump, in positivo e in negativo. Di positivo mi ha colpito che lui è il primo, che io sappia, che ha avuto il coraggio di dire: “il vostro mondo potrebbe navigare nell’oro, turismo e derivati del petrolio potrebbero fare di tutti voi dei Paperoni, rendere i vostri paesi l’Elodrado di turisti e migranti: e invece…” Non è quello che si diranno milioni e milioni di arabi sottoposti a miseria, repressione e vessazioni crudeli?
Trump ha anche detto, correggendo Bush, “non vogliamo imporvi stili di vita”. Non è quello che volevamo sentir dire dallo Zio Tom, vissuto, da noi, sempre come colonialista? Che poi detto da Trump suoni come “reprimeteli come volete” è un preconcetto forse fondato, ma davanti al quale vale anche l’accusa di portare un vizio concettuale a chi crede antagonisti leader che di antagonista hanno solo la determinazione contro i loro “sudditi”.
In negativo mi ha colpito la conferma dell’approccio teologico, e quell’indicazione “lotta del bene contro il male” che rischia di farci rimanere incapaci di capire e quindi cambiare il corso degli eventi. Molti terroristi infatti sono convinti proprio di questo, solo che il bene sono loro: sono loro che avvicinano la fine di questo mondo ingiusto, facendo giungere quella salvifica Apocalisse divina che sola potrà inaugurare l’epoca della giustizia sulla terra.
Un approccio meno teologico aiuterebbe a parlare non tanto a musulmani, cristiani, ebrei, ma ai ceti medi, agli operai, ai contadini, ai giovani disoccupati, a quelli di grande ingegno. E’ quello che il Trump – imprenditore si è fatto sfuggire quando ha parlato del Medio Oriente che potrebbe esserci e non c’è. Le religioni riportate nel loro alveo e non a fattore clanico-tribale potrebbero aiutare molto di più la costruzione che Trump ha indicato in solitaria sintonia con tanti che appartengono a ogni fede.
Così la pace pragmatica che Trump è parso indicare pone un’opportunità e un problema in vista dell’incontro con papa Francesco. Li unisce infatti la parola “alleanza”. Ma in Bergoglio l’alleanza è la vera accettazione delle altre culture, che insieme e solo insieme possono concorrere a dare al mondo la pace. La sua profonda accettazione dell’altro è così intrinseca all’ordine divino da indurlo a ritenere che l’alleanza se autenticamente poliedrica, cioè rispettosa, potrà solo arricchirci. L’alleanza che Trump ha colto emergere, è quella tra leader sfidati dal nuovo protagonismo iraniano. Re Salman è stato più accorto. Ha individuato nei khomeinisti, non nell’Iran, il suo problema, forse consapevole che milioni di iraniani più che sì a Rouhani hanno detto no ai pasdaran. Tutto sommato i cosiddetti “kamikaze” sono estranei alla storia islamica, sciita quanto sunnita, fino a Khomeini; su questo è difficile dare torto a Salman, che pure dovrebbe conoscere i guasti cerebrali arrecati al sunnismo nel mondo dalla mistura di petrodollari e wahhabismo. Così, se non andrebbe nascosto il grande merito di Trump di avere tolto il cappuccio che ha coperto da anni il terrorismo di Assad, dei pasdaran, di Hezbollah e di altre milizie khomeiniste, sorprende tacere che gli arabi hanno espresso il loro sdegno verso la propria politica, panarabista e panislamista, senza eccezioni.
Ecco allora il pericolo: l’“alleanza contro” di Trump e “alleanza per” di Bergoglio cercheranno il modo di capirsi, quando Trump arriverà in Vaticano. Il fatto che Trump a Gerusalemme abbia voluto essere il primo a compiere visite simboliche così importanti come quelle al Muro del Pianto e al Santo Sepolcro, per strano che sembri ostacola più che aiutare. L’alleanza che “chiede legittimazione” alle religioni difficilmente sa rispettarle come veri polmoni culturali dell’umanità. Piuttosto dà l’aria di un neocostantinismo “multi religioso”, il lascito -forse addolcito da Trump- di Steve Bannon, che con Bergoglio, e i tremendi livelli di orrore raggiunti nei tempi dell’ oggi, difficilmente potrà portarci lontano.