DA MADRID

Marco Calamai

ingegnere, dirigente sindacale CGIL, funzionario Nazioni Unite. Giornalista, ha scritto libri e saggi sulla Spagna, America latina, Balcani, Medio Oriente. All'ONU si è occupato di democrazia locale, dialogo interculturale, problematiche sociali, questione indigena. Consigliere speciale alla CPA ( Autorità Provvisoria della Coalizione, in Iraq (Nassiriya) si è dimesso dall'incarico ( 2003 ) in aperta polemica con l'occupazione militare. Vive a Madrid dove scrive su origini e identità.

Triste Cuba di fronte al giovane Castro Usa

Cuba sorride. Cuba balla. Non lo fa solo per attirare i turisti che cercano il mare dei Caraibi e l’eterno erotismo dell’Isola. E che spendono in CUC, il peso convertibile che vale poco più di un dollaro. Lo fa per se stessa, come ha sempre fatto. Perché il sorriso e la musica fanno parte indelebile del dna cubano. Tuttavia, se scavi appena un po’, senza fermarti ai soliti vecchi stereotipi, ti accorgi che in realtà Cuba è triste, stanca, disincantata. Perché non ce la fa più. Perché l’economia resta stagnante, perché dalle campagne arriva poco in città, perché tutte le energie della gente sono investite nello sforzo di sopravvivere. Perché non s’intravede un futuro diverso, una prospettiva nuova. La lista dei perché non finisce più. Si potrebbe sintetizzare in una breve frase: il modello cubano è fallito ma il regime, salvo qualche ritocco, si rifiuta (ostinazione ideologica o paura?) di metterlo in discussione.

La cartella del razionamento alimentare, che garantisce a tutti un certo numero di uova, alcuni kg di pollame, farina, latte e altri prodotti di prima necessità, non basta. Quello che passa lo Stato è appena sufficiente per non morire di fame. Per arrivare alla fine del mese i cubani, specie se hanno figli, devono acquistare nel rachitico mercato “libero” prodotti aggiuntivi. Che però costano prezzi esorbitanti per la grande maggioranza dei cittadini che guadagnano, in pesos cubani non convertibili, dai 15 ai 30 dollari al mese. Ho conosciuto casualmente un medico, professore e primario di ospedale, che non arriva ai 40 dollari al mese e si considera un fortunato, anche se non un privilegiato come il personale del settore turistico, i camerieri in particolare, che ricevono modeste mance, le propinas, ma pur sempre in CUC. “I medici cubani sono molto preparati e il nostro servizio sanitario pubblico è ancora di buon livello. Eppure i miei colleghi sognano di emigrare negli Stati Uniti”. Un contadino di Vignales, nel cuore occidentale dell’isola, dove si producono i migliori sigari del mondo, mi dice che il 90% della sua produzione di tabacco pregiato resta nelle mani dello Stato in cambio dei servizi – fertilizzanti, macchine agricole etc – che questo garantisce al produttore. Cuba ha un bisogno assoluto di valuta forte e i sigari sono una merce molto richiesta nei mercati internazionali.

Nella centralissima El Obispo, la via dei negozi e degli strusci multietnici già nota nella prima metà dell’Ottocento, si palpa il contrasto pauroso tra i livelli di vita dell’Occidente e la miseria diffusa di Cuba. I cubani vedono sfilare davanti ai loro occhi pezzi di un mondo il cui potere d’acquisto appare loro irraggiungibile se non fuggendo, come hanno già fatto in tanti nell’ultimo mezzo secolo, negli Stati Uniti. Mi spiega un cameriere che una serata al Tropicana, il noto locale notturno dell’Avana, “costa a persona circa 4 volte il valore di uno stipendio mensile medio”. Non è questa un’umiliazione collettiva per un popolo ma anche per un regime che continua a decantare con orgoglio I valori e le conquiste del socialismo?

Dalla stanza dell’albergo Ambos Mundos, dove è vissuto Ernest Hemingway, mito cubano per eccellenza insieme all’intramontabile Che Guevara, seguo alla CNN la Convention dei Democratici americani.  Parla un giovane di origine latinoamericana, già considerato un potenziale successore di Obama. Si chiama Julian Castro, ha 37 anni, ed è nipote di una immigrata messicana  che ha lavorato negli Stati Uniti come donna delle pulizie per mantenere sua figlia e i due figli di lei, due gemelli identici, tra cui Julian, che portano stampato sul volto la loro Hispanic origin. Viene spontaneo confrontare i due Castro, il giovane messicano-texano e l’anziano cubano.  Rappresentano – anche se entrambi parlano lo spagnolo, anche se entrambi in fondo provengono dalla stessa cultura di matrice spagnola e cattolica – due mondi incompatibili, incapaci per il momento di comunicare. S’incontreranno un giorno? Difficile essere ottimisti: non saranno né la cauta riforma economica in senso liberale di Raul Castro, che avanza a passi di lumaca; né l’eterno irrigidimento americano nei riguardi dell’isola sfuggita al suo controllo più di mezzo secolo fa, a creare le condizioni per un avvicinamento che porti a Cuba democrazia e benessere senza sacrificare istruzione e assistenza sanitaria, le conquiste sociali dell’utopia castrista.

 

 

  1. E’ il primo articolo obiettivo e non “politico” che leggo su Cuba. A leggere questo articolo sembra di parlare con un cubano (naturalmente a bassa voce e lontano da potenziali orecchie indiscrete).
    Complimenti all’autore.
    Ivan

      • Questione complessa. Avviene più o meno sempre lo stesso nei regimi totalitari nei quali il cittadino è sottoposto al CONTROLLO TOTALE. A Cuba il controllo dello Stato-Partito arriva ovunque e solo condizioni socio economiche davvero drammatiche potrebbero facilitare una rivolta di massa.

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