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Il dibattito pubblico è spesso attraversato da discussioni su temi delicati e complessi come quelli sul confine tra umano e non umano, o sui possibili connubi tra i due. Confine fissato una volta per tutte o modificabile? Connubi illegittimi o viceversa leciti? Possiamo forzare un confine ‘naturale’ per fini di riabilitazione e sostegno come nel caso dei cyborgs, cioè di soggetti nel cui organismo (incluso il cervello) siano impiantati componenti organiche meccaniche o elettroniche senza alcun intervento sul DNA? O si tratta di atti di tracotanza, blasfemia da un punto di vista religioso, destinati non solo al fallimento ma anche a produrre tragiche conseguenze? Certo è che nell’immaginario collettivo occidentale domande del genere sono ricorrenti, così come è certo che l’idea della sola possibilità di umani ‘non nati da donna’ è sempre stata ragione, per quello occidentale più che per altri immaginari, di inquietudine. La lettura del libro di Barbara Henry, Dal Golem ai Cyborgs. Trasmigrazioni nell’immaginario (Belforte 2013), propone a riguardo riflessioni stimolanti e originali.
Il libro presenta un viaggio nell’immaginario occidentale attraverso un mitologema ancestrale (uno schema narrativo, una trama fantastica con funzioni etiologiche e omiletiche, di spiegazione di cause e trasmissione di insegnamenti morali), quello del Golem archetipico, l’Adamo creato da Dio a cui è stato insufflato il soffio vitale, giunto fino all’immaginario contemporaneo attraverso complessi passaggi nella letteratura talmudica e kabbalisitica, lungo modalità teurgiche e socio-politiche, che hanno ispirato cinema e letteratura. Precursore imperfetto ma incolpevole dell’umanità, il Golem è l’Adamo primigenio, androgino, antecedente la caduta nella condizione del peccato. Da grumo abbozzato di materia, la figura del Golem verrà interpretata nei secoli dalla letteratura talmudica e kabbalistica – seguita nei suoi meandri dall’autrice con approccio rispettoso e simpatetico, ma esterno – ora come segno dell’onnipotenza di Dio e della pochezza dell’essere umano, ora come prova delle capacità creative di uomini saggi e giusti, capaci di emulare, a precise condizioni, l’impresa divina; ora, come nella letteratura mitteleuropea anticipata dalle dottrine medievali, come difensore delle perseguitate comunità ebraiche, le cui gesta nutrono ed educano ancora un suo epigono chiamato a difendere l’umanità post-atomica, come nel romanzo Cybergolem di Margie Piercy.
Un viaggio lungo e intricato nell’immaginario occidentale attraverso un mitologema ancestrale e le sue varianti e molte declinazioni, condotto dall’autrice rifiutando esoteriche e teosofiche speculazioni, volto a mostrare come “il tessuto simbolico di cui i mitologemi sono fatti non genera di per sé incubi, anzi è appunto l’appropriata conoscenza di esso ciò che aiuta a svelare le origini di possibili ossessioni, per lo più ammantate di vesti falsamente attraenti (…)” (p. 249). Al contrario, il surfing nell’immaginario che l’autrice ci propone – sobrio ed epistemologicamente avverso alle derive mistiche e gnostiche – mette capo a considerazioni finali che prefigurano ulteriori riflessioni a proposito di un’etica della vulnerabilità che proprio la critica antropologica che muove dalla ricostruzione delle vicende del mitologema del Golem ci mette a disposizione. Il Golem può diventare oggi la figura archetipica di una umanità vulnerabile, dipendente da artifici altrui, strumentalizzata e resa schiava, così come può essere figura archetipica dell’immaginario religioso occidentale che mostra come la creatività umana vada perseguita, incoraggiata, non ostracizzata e scoraggiata, consapevoli però dei limiti e dei rischi. Può diventare sostrato narrativo di un’umanità che, per quanto ‘modificata’ o ‘alterata’ rispetto a un ‘presunto modello immaginario’, si fa guidare dal principio normativo secondo cui “non conta ‘cosa sei’, ma ‘chi e come decidi di essere’” (p. 259). Soggetti nel cui organismo (incluso il cervello) siano impiantati componenti organiche meccaniche o elettroniche senza alcun intervento sul DNA, per quanto ‘alterati’ e ‘modificati’ rispetto a un presunto modello originario potrebbero andare a popolare una società di umanoidi liberi ed eguali, purché capaci di “prevedere e accettare le conseguenze delle proprie scelte di fronte ad altri soggetti coinvolti” (p. 259); i ‘non nati da donna’ potrebbero diventare “futuri compagni di strada di un nostro possibile cammino” (p. 249), a riprova di come l’immaginario dell’homo religiosus possa ancora orientare un’umanità disincantata all’interno di orizzonti inesplorati.