MEDIAPOL

Alberto Ferrigolo

Giornalista

Too many news, bad news

La repentina chiusura del Daily, primo giornale interamente su iPad, non è affatto una buona notizia nel già sconquassato mondo dei giornali e del giornalismo. Nemmeno due anni di vita e Rupert Murdoch s’è risolto a tirare le somme. Anche su iPad il giornale non va. È l’ammissione che non c’è business. In assoluto. Che nonostante l’iPad, strumento tecnologico ultramoderno, di tendenza e largamente diffuso ormai, i giornali, pur nella versione digitale o online, non tirano più. O comunque che il canone d’abbonamento non è sufficiente a sorreggerli, anche a fronte di una notevole diminuzione dei costi produttivi per un giornale siffatto. E tantopiù dinanzi ad una sensibile contrazione delle risorse e degli incassi pubblicitari. È una vera debàcle, quasi una resa. Un brutto segnale per le imprese editoriali e i propri addetti.

Non passa giorno che il bollettino di guerra della crisi segnali una dismissione, l’avvio di uno stato di crisi, il prepensionamento di un certo numero di giornalisti. E ormai non è più cosa per piccole imprese o fragili cooperative editoriali. Allo stato di crisi vi ricorre una corazzata come il settimanale L’Espresso, i prepensionamenti sono stati l’escamotage per rimettere un po’ in sesto i conti e ridurre drasticamente le spese e vi hanno fatto ricorso tutte le aziende editoriali e, talune, anche più di un volta, si sta per aprire una situazione difficile al Corriere della Sera e nell’intero comparto dei periodici della Rcs.

Il problema è che l’”era digitale”, tra nuove opportunità e ampie libertà, sta rimettendo in discussione tutto l’assetto del mondo editoriale. È un problema di pubblico, che si sta ridistribuendo e riposizionando sulle tante opportunità che il mercato offre per potersi informare. Così è anche per la crisi d’ascolti della tv generalista dinanzi all’avanzata di quella satellitare e digitale, ai canali tematici che stanno prendendo sempre più piede, all’on demand.

Ormai per non essere informati bisogna permicamente chiudersi le orecchie. Non si sfugge: radio, tv, computer, smartphone, non c’è mai stato un così massiccio bombardamento di news. Ma ognuno si sceglie la propria fonte. Dove, come e quando vuole. E poiché il mezzo è anche il messaggio, lo vuole preferibilmente gratis. Per darglielo così, però, un business vero ancora non c’è. Specie al tempo della crisi globale. E intanto i media chiudono i battenti. Persino le più lungimiranti, come lo poteva essere quella del Daily. Un danno più per le imprese e i loro addetti che per l’informazione in sé.

Anche se è chiaro che, stando e andando così le cose, vedremo molto prima del 2043 vendere l’ultima copia del New York Times.

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