Libri.
The sound of silence non è solo il titolo della più bella canzone di Paul Simon, di una delle più belle canzoni di sempre. È anche il titolo di un libro, pubblicato dalla Hrant Dink Foundation, insieme a un prezioso dvd (Habap Fountains. The Story of a Restoration). Quello che cambia è solo una ‘s’ del plurale, perché se il suono del silenzio è uno, le voci che il libro e il dvd raccolgono sono molte. Sono voci di subalterni, donne e uomini, giovani e anziani, che la storia, quella con la S maiuscola, quella scritta dai vincitori, ha cancellato per quasi un secolo. Voci armene, voci della generazione dei nipoti o pronipoti delle vittime di quello che ancora una memoria non pacificata chiama ora genocidio, ora guerra tra comunità, ora trasferimento in epoca bellica, ora incidente, ora massacro, ora Grande Male, e di cui tra poco, tra pochissimo, ricorreranno i 100 anni. Un’occasione, si spera, per fare i conti con il passato. The Sounds of Silence racconta testimonianze raccolte nel chiuso delle mura domestiche, non condivise per anni e decenni se non in famiglia, o con poche persone vicine. Storie di massacri, di conversioni forzate dal cristianesimo all’Islam, di fede nascosta, di violenza; storie di ricostruzione, di vita che riprende, di discriminazioni continuate durante gli anni della Repubblica: a scuola, al lavoro, nell’esercito, come anche storie di ‘giusti’ e di solidarietà, di ribellione e di riscatto; storie di vita, che un saggio finale ci ricorda andare a comporre una insieme all’altra non solo un flusso di memorie, ma una contro-storia, una memoria collettiva, quella dei subalterni, che rompono il silenzio e chiedono giustizia e, finalmente, pace per i loro morti. Sono storie fatte di molte sfumature e molti temi ricorrenti: la violenza, l’abbandono di una terra in cui si era vissuti per secoli accanto a culture ed etnie diverse, da vicini, e poi l’approdo in una città, Istanbul, in cui qualcosa di un certo spirito cosmopolita non è mai andato del tutto perso, e se anche in silenzio si può ricominciare. Ma soprattutto sono storie che raccontano come il suono del silenzio ha iniziato ad essere rotto. Un verso di Paul Simon recita ‘silence like the cancer grows’. A fermare le metastasi è stato il sacrificio di Hrant Dink; a ridare la voce ai subalterni è stata la voce di Hrant Dink, come ogni testimonianza raccolta nel libro fa toccare con mano, una voce che sapeva far vibrare corde di vita e non di morte.
Vita è quella che sgorga da due fontane, restaurate per iniziativa della Hrant Dink Foundation a Habap, un villaggio armeno completamente distrutto nel 1915. A Habap viveva, prima del disastro, Heranush, la nonna di Fethiye Çetin, oggi avvocato della famiglia Dink, e autrice di Heranush mia nonna, il libro testimonianza che per primo ha rotto il silenzio sul destino tragico delle donne armene in Turchia. Proprio Fethiye Çetin, insieme a Zeynep Taskin e altri volontari della fondazione Dink, ha preso l’iniziativa di restaurare le due fontane di Habap, famose per un’acqua che – dicono antiche carte – sembrava venire dal paradiso. Vincendo l’iniziale ostilità degli abitanti del villaggio, che la memoria del 1915 avevano rimosso e tenevano a distanza, e trasformandola in aiuto e partecipazione, Fethiye Çetin e Zeynep Taskin hanno organizzato un gruppo che per mesi ha lavorato al restauro: volontari turchi, armeni, francesi, americani, di ogni età e sesso, hanno lavorato insieme agli abitanti del villaggio fino a far nuovamente sgorgare l’acqua dalle due fontane. Nel momento in cui l’acqua è tornata a sgorgare, “il suono, il suono dell’acqua, ha sommerso le grida disperate, i lamenti e i gemiti che echeggiavano nella mia mente. Ho bevuto l’acqua, sperando che le anime di tutti quelli che erano morti o che erano stati uccisi riposassero in pace” (Fetiye Çetin). Lavorare fianco a fianco – turchi, armeni, kurdi – , prendersi cura di un bene comune, raccogliere una eredità condivisa, far crescere in questo modo conoscenza dei fatti e consapevolezza; il suono dell’acqua che sgorga dalle fontane di Habap e le voci ritrovate e sottratte al silenzio sono l’esempio di un lavoro sulla memoria che passa per il dolore ma guarda alla vita e a un futuro di convivenza tra diversi.