Sono le città il luogo dove il mondo sta inventando il futuro cercando di risolverne le contraddizioni. Il posto dove si concentrano, sempre di più, la popolazione e la manodopera di maggior talento, i problemi e le opportunità di risolverli. Eppure l’idea di futuro nella campagna elettorale per l’elezione dei Sindaci nel Paese che inventò l’idea stessa di città, non è mai entrata.
Non c’è alcun tentativo – come lamentava Ferruccio De Bortoli da queste colonne qualche settimana fa –di proporre un patto ai cittadini sugli obiettivi minimi da raggiungere. Ancor meno sembra esistere spazio per una riflessione su come le tecnologie modificano i termini dell’equazione che lega risorse scarse e risultati; mentre non è mai cominciato un dibattito italiano su come nel ventunesimo secolo dovrebbe cambiare il ruolo delle città che, dovunque, si stanno proponendo come alternativa a Stati sempre più stanchi. L’amministrazione centrale e le regioni continuano a litigare sulla distribuzione di poteri e soldi sempre più scarsi, mentre alle cittàè lasciato il compito di occuparsi di fronteggiare quotidianità sempre più precarie (con il risultato che, come certifica il bilancio dello Stato, le risorse per i Comuni si sono ridotte, negli ultimi vent’anni, ad una velocità due volte superiore a quella degli altri livelli istituzionali).
Secondo le direttive comunitarie entro il 2030 il numero delle automobili alimentate a benzina o diesel dovrà essere dimezzato ed entro il 2050 azzerato; gli imballaggi venduti per ogni chilo di prodotto consumabile devono ridursi dell’ottanta per cento ed aumentatoil numero di quartieri in grado di vendere elettricità a griglie intelligenti. Intanto, le biciclette stanno per dimostrare – a Londra così come a Milano – che- proprio come nel titolo di un famoso film degli anni Ottanta – il futuro è un luogo dove si “ritorna” riscoprendo abitudini del passato; e la geografia stessa delle città sta per essere investita da una nuova trasformazione infrastrutturale grande come quella che accompagnò la sostituzione delle carrozze con il motore a scoppio.
La crescita vera – per interi settori industriali che usciranno dalla quarta rivoluzione industriale con protagonisti nuovi – verrà da enormi ondate di innovazione che si consumeranno per strada. Innovazioni che vanno incoraggiate, governate, capite. Perché altrimenti rischiano di essere frenate dall’inerzia di una burocrazia che non è pagata per correre rischi; o di trasformare – proprio come nelle riflessioni di Italo Calvino sulle metropoli invisibili– il sogno di uno sviluppo più umano nell’incubo del suo contrario.Un futuro che va cercato città per città, perché se è vero che alcune politiche (ad esempio, il codice della strada) rimangono nazionali, è altrettanto vero che la diversità di scelte tra amministrazioni è un prerequisito per sperimentare idee nuove: questo è, peraltro, il senso di un’iniziativa che Palazzo Chigi sta avviando in questi giorni, per superare i limiti di una stagione di interventi sulle “città intelligenti” fatta di tanti convegni e pochi risultati.
Tuttavia, il dibattito tra i candidati di queste elezioni è ancora tutto su come usare la coperta sempre corta delle risorse. Esistono, invece, interi comparti di spesa – dal presidio delle strade a quello della raccolta dei rifiuti – che saranno presto resi irriconoscibili dall’irruzione di robot e droni. Contemporaneamente, poi, è la stessa modernità che fa crescere bisogni (dalla cura di tanti anziani rimasti soli al coinvolgimento di moltissimi giovani che la crisi ha espulso dal mondo del lavoro) che prima semplicemente non esistevano. Certo non è immaginabile di licenziare vigili e spazzini per assumere assistenti sociali; e, tuttavia, è proprio la crisi che impone a chi si candida a governare municipi assediati dai problemi senza soldi, il dovere di considerare possibilità non convenzionali.
Siamo abituati a campagne elettorali nelle quali le agende dei candidati appaiono interamente dettate dagli errori dei propri concorrenti. Ma non è così che si aprono cicli politici capaci di durare il tempo di una trasformazione. Le città italiane non vanno solo gestite nell’ordinario come ci si aspetta da un prefetto; esse devono adattarsi – per non scomparire, come rischia la stessa Roma – ad un ambiente che sta mutando. Per riuscirvi c’è bisogno di leader capaci di mobilitare attorno ad un progetto di cambiamento – visionario e pragmatico – individui che riscoprano di essere cittadini.
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 17 Aprile