Come dicevo nel post precedente, il mio Liberalismo senza teoria, il volume da domani in libreria per i tipi di Rubbettino, è soprattutto un’esercitazione su alcuni momenti e autori della storia del pensiero politico e filosofico. Nella mia opera di ricostruzione, ho sottolineato alcuni punti e anche proposto alcune interpretazioni un po’ eretiche rispetto a quelle più diffuse. Faccio qui un succinto elenco di temi, seguendo la scansione dei capitoli del libro.
- Momtesquieu non può essere tenuto fuori da una storia del liberalismo. Per dimostrare questo assunto, ho considerato tre importanti autori della modernità politica, esemplificativi di tre posizioni diverse: Hobbes, Montesquieu e Rousseau. Nonostante il primo abbia tracciato da non liberale il campo di gioco su cui anche i liberali “con teoria” hanno operato, solo Montesquieu può essere considerato un liberale. Lo è soprattutto per una concezione piena della complessità del mondo umano e per la necessità che egli invoca di frenare il potere con il potere. Il suo liberalismo è, come deve essere, pregno di realismo politico.
- L’interesse che Berlin ha mostrato per i “contro-illuministi” (e che lo accomuna su altra scala all’italiano Antoni) è una lezione di epistemologia e gnoseologia liberali: solo dal confronto con chi la pensa in modo anche radicalmente diverso da noi, è possibile far progredire la conoscenza e la nostra consapevolezza liberale. La teoria del pluralismo da lui sviluppata è centrale ma anche molto accorta, poiché scansa con successo le insidie del relativismo. Berlin è pertanto da considerarsi il più coerente rappresentante del liberalismo del secondo dopoguerra, molto più di Hayek o di Rawls.
- Humboldt è un continuatore di Kant, nel senso che ha sviluppato alcune intuizioni “liberali” presenti nell’opera del filosofo di Koenigsberg, e un “precursore” e ’ispiratore di Stuart Mill (che d’altronde lo ha dichiarato apertamente). Egli, insistendo sul concetto di auto-educazione, mostra con precisione come perfezionismo e paternalismo siano da considerarsi i più forti nemici del liberalismo.
- Nel pensiero di Mill è dato osservare una felice contraddizione tra teoria e prassi, fra il logico e il politico. E’ soprattutto il concetto di “utilità” che fra le sue mani implode (d’altronde il liberalismo è ugualmente contrario sia all’utilitarismo sia al contrattualismo, come risulta in modo particolarmente evidente nelle pagine di un pensatore contemporaneo come Bernard Williams). Così come succede a quello ad esso legato, e filosoficamente scivolosissimo, di “felicità”. La messa in luce, in chiave antipaternalistica, dell’importanza del “diritto all’infelicità”, che si colloca al polo opposto di ogni paternalismo o “dirigismo liberale”, si colloca in Mill in un affascinante quadro di esaltazione della varietà e pluralità della vita umana, dell’anticonformismo e persino dell’eccentricità.
- Quando si è parlato di Croce e Einaudi ci si è concentrati spesso sulla polemica da loro portata avanti per più anni concernente i rapporti fra liberismo e liberalismo. Ciò ha portato in secondo piano un elemento per me molto importante, il tratto comune del loro pensiero liberale: l’idea che non ci possa essere liberalismo senza conflitto. Significativo è che a questa conclusione essi arrivassero per vie e con presupposti diversi e utilizzando metodi altrettanto distanti. Grazie alle loro elaborazioni, potremmo dire che proprio il conflittualismo è la cifra più propria della “tradizione italiana” del liberalismo: l’elemento che lo fa essere importante e attuale.
- Gobetti non solo è un liberale a tutti gli effetti, ma lo è stato in modo in qualche modo più compiuto di tanti altri. L’errore che si è compiuto da parte di alcuni liberali suoi critici ha la stessa radice di quello che compiono a volte comunisti e azionisti nell’annetterselo: Gobetti, a cui non si attagliano minimamente le categorie di destra e sinistra, va giudicato prima di tutto filosoficamente. In tal senso, l’origine della sua concezione “rivoluzionaria” del liberalismo è in Gentile. Anche in questo caso non bisogna dedurne che ciò sarebbe normale perché destra e sinistra hanno comuni tratti illiberali, ma bisogna invece insistere a ragione, anche a costo di èpater le buorgeois, sulle potenzialità liberali dell’attualismo gentiliano
- Il pensiero di Hannah Arendt è molto utile per riconciliare il liberalismo con la filosofia, cioè con gli sviluppi del pensiero degli ultimi due secoli (non facendone quindi un’ideologia protomoderna come rischia di essere soprattutto nella versione “con teoria”). Il problema è il concetto di individuo, che può essere ritenuto a mio avviso tranquillamente non consustanziale al liberalismo (senza che questo significhi aderire all’ugualmente fallace comunitarismo: individuo e comunità sono i due poli di una diade da superare). Il concetto arendtiano di “individuo plurale”, soprattutto, ci offre alcune tracce per la necessaria “ricostituzione” in senso non sostanzialistico dell’individualità. L’individuo plurale si afferma nel “giudizio” (altro importante termine del lessico della filosofa tedesca): nella ricerca in comune di una regola, sempre nuova e non determinata, che dia ragione dei fatti particolari (il movimento del liberalismo è sempre dal basso verso l’alto, non viceversa).
- Norberto Bobbio, nell’ultima fase del suo pensiero, fattosi “moralista”, ha rivisto, senza troppi clamori, molte sue posizioni e le basi stesse del suo pensiero in senso storicistico. Questo “terremoto” ha investito categorie importanti come, ad esempio, quelle di “diritti umani” e “laicità”. D’altronde, egli fu sempre uomo del dubbio, di contro alle granitiche certezze dei “bobbiani”, cioè di molti fra coloro che si sono dichiarati suoi eredi.