Il 21 maggio 2013, sull’altare di Notre Dame a Parigi, Dominique Venner, storico francese di estrema destra – così lo definiscono i giornali -, si è sparato un colpo di pistola, per protestare contro la legge appena approvata in Francia sul mariage pour tous, che rende possibile il matrimonio anche per le coppie omosessuali. Risulta fosse anche ossessionato dal pericolo che il suo paese possa cadere nelle mani degli islamisti, coerente fino in fondo con il suo passato di ex paracadutista volontario in Algeria.
Di fronte a un gesto così estremo e così estraneo a una cultura che ci piacerebbe laica e pluralista, viene solo da pensare a quanto terribile debba essere stata la vita di un uomo che, attaccato al passato, non poteva non rendersi conto che il mondo va sempre nella direzione opposta a quella da lui ritenuta giusta, che tutto va irrimediabilmente verso l’errore, il falso, il capovolgimento dei valori.
Si può certamente condividere il giudizio espresso da Gianni Vattimo che ha parlato di un gesto paradossalmente rispettabile, di una persona che, in questo caso, ci ha messo non solo la faccia, ma anche la vita. Ma perché aggiungere che in quel gesto estremo c’è una voglia di Medioevo? Non si può negare che la cattedrale di Parigi sia un simbolo del Medioevo, ma allora qualunque gesto compiuto nel centro storico di mille comuni italiani testimonierebbe una voglia di Medioevo, tante sono le tracce di quel periodo della nostra storia che rendono meravigliosi quei centri storici.
Già Agostino scriveva:
E a ragione in nessuna parte dei sacri libri canonici si può trovare che ci sia stato ordinato o permesso di ucciderci per raggiungere l’immortalità ovvero per evitare o liberarsi dal male. Al contrario si deve intendere che ci è stato proibito in quel passo in cui la Legge dice: Non uccidere. Da sottolineare che non aggiunge il tuo prossimo, come quando proibisce la falsa testimonianza … A più forte ragione dunque si deve intendere che non è lecito uccidersi, giacché nel precetto Non uccidere, senza alcuna aggiunta, nessuno, neanche l’individuo cui si dà il comandamento, si deve intendere escluso. (De civitate dei 1.20)
Ancora nel XII secolo, il secolo della nascita dello spirito laico, dello sviluppo della civiltà urbana, della vicenda di Abelardo ed Eloisa, dei pilastri della terra (Ken Follett), lo stesso Abelardo riprende l’opinione agostiniana per discuterne e riproporla nel capitolo 155 del Sic et non: Quod liceat homini inferre sibi manus aliquibus de causis, et contra.
E Giovanni di Salisbury, suo contemporaneo – uomo di mondo, intellettuale e politico, conoscitore della chiesa e delle corti principesche -, facendo riferimento a quell’aura di coraggio che circondava il racconto dei grandi suicidi dell’antichità, scrive:
Questa morte è la morte delle persone completamente disperate. E’ la morte di coloro che, pur essendo ancora fisicamente vivi, sono già morti prematuramente nello spirito. In breve, si tratta della morte di chi è già morto, non di chi è vivo (Policraticus, cap. 27).
Si potrebbero trovare molte altre citazioni, senza dimenticare Tommaso e Dante.
Mi sforzo, ma, a parte l’architettura circostante, non trovo nulla di medievale in quel gesto disperato.
Nei Quaderni 1914-1916 un Wittgenstein alquanto ossessionato scrive: Se è permesso il suicidio, tutto è permesso. Se qualcosa non è permesso, il suicidio non è pemesso. Questo getta luce sull’essenza dell’etica. Infatti il suicidio è, per così dire, il peccato elementare. E se lo si indaga, è come quando si indaga il mercurio per comprendere l’essenza dei vapori. O anche il suicidio è, in sé, né buono né cattivo? Secondo questa linea di pensiero due cose sembrano emergere in modo chiaro. In primo luogo, nulla motiva in maniera sufficiente o spiega razionalmente il suicidio, se non l’atto in sé; vale a dire che non sembra esserci alcuna eticità in esso, né è possibile desumere alcuna categoria o alcun giudizio generalizzato. Come se la singola volontà si ritrovasse nuda di fronte allo specchio, pura potenza in cui soggetto e oggetto si confondono fino a coincidere nell’autonegazione. In tal senso non sembra nemmeno esserci un minimo o un massimo di tensione morale: né gesto estremo di speranza, dunque, né di disperazione, ma solo mercuriale indeterminatezza. Figuriamoci, poi, quanto possa testimoniare in maniera univoca una vocazione al martirio e quindi una morbosa voglia di medioevo … In secondo luogo, sempre secondo tale presupposto sospeso tra mistico e logico, il gesto di Dominique Venner sembra un commovente autogol, e non un atto di estrema coerenza (cfr: non ci ha messo solo la faccia, ma la vita); poiché l’affermazione della sua libertà, proprio in quanto incondizionata, essenzialmente a-morale, non fa che manifestare anche quella degli altri. Se con il suicidio tutto è permesso, “ergo” hanno diritto di esistere anche stili di vita non graditi al povero Venner.
Intendevo riferirmi solo alla voglia di Medioevo.
Aproposito di Catone, Agostino, De civitate Dei:
“… i suoi amici, anche essi dotti, che più saggiamente lo sconsigliavano dal farlo, giudicarono il gesto più d’un uomo debole che forte perché in esso si rilevò non l’onestà che evita il disonore ma la debolezza che non regge all’avversità …” (1.23)
“… il celebre Catone si è suicidato per sopportazione o insopportazione? Non l’avrebbe fatto se non avesse accolto con insofferenza la vittoria di Cesare. Dov’è la fortezza? In realtà si arrese, si afflosciò, fu sconfitta al punto da abbandonare, rinunziare, fuggire una vita felice. Ma non era già felice? Era dunque infelice …” (19.4.4.)
Suicidio-Speranza e Suicidio-Disperazione sono i due poli del problema del suicidio. libertà vo cercando come sa chi per lei vita rifiuta (Dante) e La vita di una persona che si ammazza è in ogni punto la vita di una persona che si ammazza (W.Benjamin).Il suicidio rimane un Mistero.
E Catone ?
Caro Giangi il mio commento è molto contratto ma volevo appunto dire che il suicidio di Catone Uticense di cui parla Dante (libertà vo cercando che è si cara come sa chi per lei vita rifiuta) non è quello di Walter Benjamin, al Primo ascrivo una Speranza al secondo una Disperazione. In ogni caso non esiste il suicidio, ma esistono i suicidi, con il loro segreto e con il loro mistero, sempre insondabile. So di dire cose banali.