L’ultima nota dell’Istat, quella dell’8 aprile, avverte che il tasso di nascita in Italia è il più basso dal 1861 e che gli Italiani saranno 11 milioni in meno nel 2070. Cifra che, secondo l’Onu, citato dal Financial Times, preoccupato per la deriva demografica negativa dell’Italia, sarebbe molto ottimistica, perché è basata sull’ipotesi che il tasso di natalità per donna resti all’1.5.
Solo il Trentino-Alto Adige raggiungerebbe questa quota. L’Onu perciò prevede che nel 2070 saremo circa 44 milioni, perdendone dunque 15. E poiché, in attesa degli uteri artificiali, gestiti dall’Intelligenza artificiale (?), i bambini continueranno a farli le donne, se le donne diminuiscono…
L’effetto del calo drastico delle nascite combinato con l’aumento della vita media attesa sta facendo invecchiare pesantemente la popolazione: l’età media degli italiani è oggi di 48 anni, la più alta dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Attorno al 2050, la fascia di età prevalente sarà tra i 60 e i 65 anni.
La conseguenza del calo demografico è il declino dell’Italia.
Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, sostiene da tempo che la situazione non è poi così allarmante. Brandendo le cifre: se le italiane riprenderanno a fare figli e se al mercato del lavoro parteciperanno finalmente i milioni di Italiani, maschi e soprattutto femmine, fino a oggi esterni, l’immigrazione non sarà necessaria.
È possibile, si intende. Solo se gli Italiani volessero. Perché tra i numeri dell’Istat e la realtà effettuale si aprono delle faglie.
Infatti, perchè siamo arrivati fin qui?
Gli Italiani hanno scelto il suicidio demografico e ciascuno, individualmente, con buone ragioni.
Il fatto è che il benessere finalmente conquistato in questi ultimi settant’anni, i migliori, forse, della storia della specie, lo abbiamo voluto tranquillamente godere. Era ora, d’altronde! I miei nonni paterni hanno fatto, dagli inizi del ‘900, 13 figli, destinati alcuni a mortalità precoce, alcuni a essere afferrati dalla Seconda guerra mondiale o emigrare, a lavorare nelle miniere o nei campi o nell’edilizia; le femmine avviate ai campi e alle fabbriche tessili.
I 9 sopravvissuti hanno generato mediamente, tra il 1930 e il 1950, 2.3 figli ciascuno. Noi boomer, figli di quei figli, ne abbiamo generato, a nostra volta, solo 2.2. E i nostri figli? Dal 1976 il tasso di natalità per donna è sceso sotto i 2.1. Oggi: 1,18 per le italiane e 1,87 per le straniere (era 2,53 nel 2008); età media del parto nel 2021 è di 32,4 anni.
Non c’è stato, dunque, alle spalle, nessun complotto di “un’élite con interessi giganteschi, che non vuole che si facciano più figli”, come afferma il Cardinal Bagnasco. E neppure una congiura di forze oscure demo-pluto-giudaiche, che progettano la “sostituzione etnica” degli Italiani, come ha ripetuto da ultimo il ministro Lollobrigida. Gli italiani hanno pensato da soli a creare il vuoto demografico.
Si può riempire?
I regimi autoritari dispongono di ricette semplici in materia di “politiche della vita”. Il 13 febbraio 1927 il fascismo istituì la tassa sui celibi, di età compresa tra i 25 e i 65 anni.
Il regime cinese creò nel 1981 la “Commissione di Stato per la Pianificazione familiare” per far rispettare la regola del figlio unico, introdotta nel 1979 e mossa dalla preoccupazione malthusiana di una crescita esponenziale della popolazione. È stata abolita solo nel 2013, avendo sottoprodotto la tendenza opposta.
Le ricette non mancano neppure ai regimi democratici. La Francia e la Germania ne sono un esempio. Il ministro Giorgetti ha proposto recentemente “niente tasse” per chi genera dai due figli in su. Non senza malumori e distinguo a sinistra.
Sì, si possono fare politiche della vita.
Ma la politica non sposterà molto, se la società civile italiana non arriva all’altezza intellettuale e morale della posta in gioco della demografia.
Che è la nostra civiltà. Negli anni ’50 Guido Piovene in Viaggio in Italia, una storica trasmissione TV, poi trasformata in libro, scriveva: “La civiltà italiana oggi è in gran parte endemica e inconsapevole, l’inciviltà inconsapevole e attiva”…
Ecco, non esiste la coscienza acuta e allarmata di questo livello della sfida, perché non esiste autocoscienza storica del Paese.
Il basso livello di istruzione, di coscienza storica, di educazione, di civilizzazione degli italiani impedisce loro di apprezzare i tesori e i giacimenti di cui sono eredi e che devono obbligatoriamente trasmettere a qualcuno, visto che non lo possono portare con sé nella tomba come i Faraoni.
A chi trasmettere il Paese? Ai nostri figli, naturalmente! Se li facessimo…
A chi lasceremo, dunque, i giacimenti della nostra storia civile e culturale? A chi affideremo “il candido manto di novelle chiese”, di cui scriveva Rodolfo il Glabro attorno all’Anno Mille? A chi la nostra lingua?
Una risposta possibile: agli immigrati.
Che si stanno rovesciando dal vaso troppo pieno dell’Africa in quello troppo vuoto dell’Europa.
Perché i cinque milioni di immigrati regolari e quelli che si aggiungeranno, i cui figli hanno incominciato a frequentare le nostre scuole e a parlare la nostra lingua, siano in grado di portare il carico delle nostre tradizioni e dei nostri tesori, occorre stabilire alcune condizioni di base.
La prima è una condizione culturale: gli Italiani prendano atto che i movimenti migratori sono un fenomeno strutturale e che, pertanto, deve essere governato, selezionando rigorosamente chi arriva: salvare tutti in mare, accogliere stabilmente solo coloro che riempiono i nostri i vuoti socio-economici e che vogliano integrarsi.
La seconda: occorre integrare in profondità gli immigrati, trattando i loro figli come i nostri, attraverso l’educazione, l’istruzione, il lavoro. Spingerli fuori, costringerli a nascondersi negli interstizi illegali della società e dell’economia – vedi abolizione della “protezione speciale” – significa aumentare la (dis)integrazione loro e l’insicurezza nostra.
La realizzazione di queste due condizioni implica un rovesciamento delle politiche immigratorie fin qui realizzate dai governi fin dagli anni ’90: ondate disordinate di immigrazione e sanatorie.
Le politiche all’italiana della deroga, del rinvio, della sanatoria sono fallite. Nelle ultime elezioni Salvini e Meloni hanno raccolto i voti degli italiani in nome della difesa dell’identità italiana e della sicurezza. È ora che lo facciano, attraverso politiche demografiche e politiche razionali dell’immigrazione. Basterà a far comprendere agli Italiani che anche noi siamo ormai una “democrazia migratoria”? Forse…
Quest’articolo è stato pubblicato in origine su www.santalessandro.org il 26 aprile 2023.