Col piglio di chi vuole riparare torti esecrabili, ovviamente opera perlopiù di una società che si riconosce in una politica di destra, Il guru italiano censore dei peggiori costumi italiani, alle cronache Stefano Massini, ha interrotto con una sua tipica intemerata la trasmissione del più partigiano tolker show della nostra televisione, Corrado Formigli, per ricordare il delitto del giornalista ragusano Giovanni Spampinato, ucciso il 27 ottobre 1972: esordendo (e pure concludendo) con la fumosa teoria che il giovane comunista (per la verità iscritto all’Albo dei giornalisti pubblicisti solo dopo la morte) non fu ucciso ma ammazzato. Intendeva sicuramente esprimere l’idea che l’omicidio fu commesso con ferocia e premeditazione, sembrandogli più significativo il verbo “ammazzare” (che etimologicamente però vuol dire colpire a colpi di mazza o forse, dallo spagnolo, “matare”), ma si è guardato bene dal dire chi fu a commettere il delitto, limitandosi a indicare “una persona giovane come lui” e coprendo così responsabilità di alto livello, giacché ad uccidere Spampinato – come tutti sanno, trattandosi di un reo confesso – fu Roberto Campria, il figlio del presidente del tribunale di Ragusa.
Massini ha taciuto sia il nome che il titolo, credendo chissà che mostrare l’eroico giornalista nella veste di vittima del figlio della più potente personalità del luogo sarebbe stato come ridurne il valore di sacrificio e di orrore: quasi che il figlio di un giudice possa solo uccidere e non ammazzare. Una forma di rispetto e di prudenza che sarebbe valsa migliore causa.
A ben vedere, nello spirito gesuitico del suo teorema, Massini non poteva sostenere la tesi della mirabile opera giornalistica di Spampinato, tesa a “ricostruire un mosaico terrificante” fatto di trame nere, insorgenze mafiose, inquietanti presenze a Ragusa come quella del neofascista Stefano Delle Chiaie (in realtà in Spagna in quel tempo), riconducendola infine a un miserabile delitto “privato” compiuto da un ragazzo debole di mente, perciò sgonfiandola e privandola del mordente che invece gli ha permesso di lanciare anatemi – alla sua maniera un po’ risibile e molto grottesca – contro l’Italia reazionaria e dimentica dei suoi martiri più fulgidi.
Tacendo la reale matrice di un delitto sul quale solo fra qualche mese si saprà tutta la verità frutto dell’inchiesta giunta all’epilogo della Procura di Ragusa (farà bene Massini a tenersi informato e poi a risentirsi il suo sketch choc), l’impavido paladino delle migliori intenzioni nazionali ha potuto alzare il suo indice accusatore contro i silenzi che sul caso hanno tenuto le istituzioni come anche la stampa. E ha così mancato l’occasione di rivolgersi all’ispirato Formigli – che lo seguiva come fosse uno ierofante o un mistagogo – non tanto per consegnargli la foto di Spampinato perché la tenesse in evidenza in taccia di ospite della trasmissione (bel colpo da istrione) quanto per chiedergli cosa lui e Mentana hanno mai fatto ne La 7 per tenere viva la figura del “giornalista ammazzato”. O cosa fino all’altra sera ha fatto personalmente lui.
Per inscenare in televisione l’affronto e il rossore con la verve dell’attore che sa di meritare l’applauso, Massini si è documentato scorrendo appena qualche pagina Internet e facendo una grande confusione, adducendo per esempio che l’assassino di Spampinato “si avvicina alla Fiat 500” e gli spara, quando invece si trova dentro l’auto con lui; sostenendo che il giornalista ha fatto nomi e cognomi quando il solo è stato quello di Campria perché lo sospetta di aver ucciso otto mesi prima il missino Angelo Tumino; inventandosi d’emblée la pista dei soldi che, provento supposto e infondato dei traffici in reperti archeologici di Tumino, non si sa “dove sono finiti”. Mistificare i fatti è il lavoro di chi vuole piegare la storia a fini demagogici e politici. Farlo in televisione, sia pure in trasmissioni nate ad hoc, è deplorevole se si propalano illazioni e si mietono reticenze.
E’ del tutto falso che di Spampinato “non gliene frega niente a nessuno”. Forse non c’è stato cold case che abbia avuto più libri, convegni, commemorazioni e articoli giornalistici. Si è persino arrivati alla strumentalizzazione. Paolo Di Stefano del Corriere della Sera ha appena pubblicato un romanzo che racconta interamente la vicenda ma come avvenuta da personaggi di sua invenzione, cambiando qualche piccolo dettaglio solo per ragioni di adattamento. Massini chiede dove sono stati finora i grandi giornalisti e i politici, ma la domanda da farsi è un’altra: dov’è stato lui?
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