Quentin Skinner è sicuramente uno dei maggiori storici delle idee e del pensiero politico moderno oggi operanti. Professore all’Università di Londra Queen Mary, è abbastanza conosciuto in Italia: ad esempio, l’editore Raffaello Cortina ha appena pubblicato in traduzione un suo importante e poderoso saggio su Hobbes (Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, Cambridge University Press, 1996). Un altro degli autori a cui ha dedicato opere importanti è Niccolo Machiavelli (la sua monografia fu pubblicata per la prima volta da Oxford University Press nel 1981). Più in generale egli ha ricostruito la storia di quel filone di pensiero repubblicano che a volte si interseca e altre volte si differenzia dal liberalismo, ma che ha sicuramente radici più antiche e risalenti alle città stato greche e alla Repubblica romana e che, passando per le esperienze dei comuni italiani e di certo nostro pensieri politico umanistico e rinascimentale, giunge fino ad oggi (cfr. Liberty before Liberalism, Cambridge University Press, 1998) Si può dire che Skinner sia stato uno dei massimi artefici, o forse il massimo, della rinascita di interesse per il repubblicanesimo a cui si è assistito nel mondo degli studi negli ultimi anni. Come tutti gli storici delle idee che si rispettino, anche Skinner ha dedicato attenzione anche alla metodologia della storiografia (che, in un’ottica crociana, coincide senza scarti con la filosofia). Alcuni fra i suoi saggi di ermeneutica furono rivisti e raccolti, espressamente per il pubblico italiano, con il titolo Dell’interpretazione, in una preziosa, ma ahimé già introvabile, edizione de Il Mulino. L’Introduzione che egli allora scrisse si apriva con queste parole: “Spero che si colga in queste pagine un’eco lontana della vita intellettuale italiana. Le mie tesi sulla teoria dell’interpretazione sono state influenzate dal filosofo inglese R. G. Collingwood, il cui pensiero è stato a sua volta profondamente influenzato da Benedetto Croce e dai suio epigoni”. Non sono affatto frasi di circostanza: il nome di Collingwood ritorna diverse volte in questi saggi. Ed è inutile dire che ciò che ritorna è quasi sempre la sua “logica della domanda e risposta”, che Skinner discute, fa propria e usa come arma critica soprattutto per contestare l’ermeneutica tradizionale, troppo interessata al significato astratto delle idee, e il realismo (l’ultimo capitolo, molto critico, è intitolato : Gli storici britannici e il culto del fatto). Nel prossimo post dirò qualcosa di più concreto sul rapporto di Skinner con Collingwood. Per intanto basti riportare questa frase significativa dal volume sull’interpretazione: “Non esiste nessuna idea determinata alla quale vari pensatori hanno contribuito, ma solo una molteplicità di affermazioni, fatte verbalmente da una molteplicità di pensatori differenti, con una molteplicità di intenzioni; quindi non esiste alcuna storia dell’idea che possa essere scritta, ma solo una storia incentrata sui pensatori che hanno utilizzato l’idea, e nelle diverse situazioni e intenzioni in cui essa è stata utilizzata” (p. 52).
CROCE E DELIZIE