MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Siria, la guerra globale del Sultano

Siria, il Sultano ordina l’offensiva finale Obiettivo: Damasco. E’ guerra globale. La Turchia ha avviato un’operazione militare in Siria contro il regime di Bashar al-Assad. Un drone del governo siriano è stato abbattuto nella provincia di Idlib nord-occidentale della Siria, segnando l’inizio di un’operazione militare su larga scala in risposta all’uccisione di 34 soldati turchi della scorsa settimana, ha riferito l’agenzia di stampa turca Anadolu. Il ministro della Difesa turco Şule Akar ha annunciato l’operazione, denominata Operazione Spring Shield, giurando ritorsioni contro qualsiasi attacco alle forze turche o posti di osservazione a Idlib sotto il diritto di autodifesa della Turchia. Il ministro ha poi dichiarato che l’esercito turco ha colpito 8 elicotteri, 103 carri armati, 78 lanciarazzi, 3 postazioni antiaeree e 2.212 militari del regime di Damasco.

“Non miriamo a confrontarci con la Russia. Il nostro unico obiettivo è fermare i massacri, la radicalizzazione e la migrazione di massa. Akar ha continuato la sua richiesta di assistenza russa, affermando che “la Turchia si aspetta che la Russia utilizzi la sua influenza per porre fine agli attacchi del regime siriano e al suo ritiro ai confini dell’accordo di Sochi”. In precedenza, l’esercito siriano ha dichiarato che lo spazio aereo sul nord-ovest della Siria era chiuso a aerei e droni, impegnandosi a abbattere qualsiasi aereo che lo violasse, hanno detto i media di Stato domenica, poco prima che iniziassero a emergere le notizie sul drone abbattuto. “Qualsiasi aereo che viola il nostro spazio aereo sarà trattato come un aereo nemico che deve essere abbattuto”, ha detto l’agenzia di stampa statale SANA, citando una fonte militare.

La Turchia ha colpito due aerei del regime siriano a Idlib: lo denunciano i media di Stato siriani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani e un gruppo ribelle pro-Ankara, i due aerei sono stati “abbattuti”.

Gli attacchi aerei fanno parte di un grande assalto per catturare la provincia, parte dell’ultimo territorio rimasto detenuto da ribelli appoggiati dalla Turchia.  A febbraio, 55 soldati turchi sono stati uccisi negli attacchi del governo siriano, compresi gli attacchi aerei, a Idlib. Erdogan ha dichiarato sabato di aver chiesto al presidente Vladimir Putin per la Russia di farsi da parte in Siria e di lasciare che la Turchia combatta da sola le forze del governo siriano, dopo l’uccisione della settimana scorsa dei suoi soldati. “Siamo andati lì perché siamo stati invitati dal popolo siriano”, sentenzia il Sultano. “Non intendiamo andarcene prima che il popolo siriano dica: ‘Va bene, questo è fatto. Basta”. La sicurezza dell’Ambasciata russa in Turchia, dopo minacce, è stata rafforzata giovedì sera e viene assicurata dalle forze speciali della polizia.

In precedenza il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov aveva dichiarato che la Turchia non è riuscita ad implementare diversi impegni chiave per risolvere i problemi relativi ad Idlib. In particolare non ha dissociato dai terroristi l’opposizione armata, disponibile al dialogo con il governo nel quadro del processo politico.

 

Sfruttando gli accordi per la creazione di punti di osservazione all’interno di Idlib la Turchia si è garantita una presenza stabile sul territorio siriano, ma si è ben guardata dal disarmare i ribelli. Le forze islamiste più vicine ad Ankara sono state trasformate in milizie mercenarie e utilizzate per combattere i curdi nel nord est del paese e, in Libia, per difendere gli interessi turchi e il governo di Tripoli. Tutta la parte settentrionale e occidentale di Idlib resta però nelle mani di Tahir al Sham. conosciuta un tempo come Jabhat al Nusra, ovvero la costola siriana di al- Qaeda. Ad oggi i turchi si sono ben guardati dal disarmarla e, tanto meno, dal costringerla ad abbandonare i territori siriani. Anche perché questo significava trasferire sui propri territori 12mila incontrollabili veterani jihadisti.

In compenso i cosiddetti “posti di osservazione” turchi si sono trasformati in forze d’interposizione pronte a bloccare l’offensiva siriana contro Tahrir al Sham. La conferma di un sostanziale doppio gioco di Ankara decisa ad annettersi i territori di Idlib lungo il proprio confine è confermata dal progetto per la costruzione, sul versante siriano, di un migliaio di case in cui trasferire gli sfollati che affollano i campi profughi turchi. Un progetto a cui la Germania, ricattata con la minaccia del dirottamento dei migranti sulla rotta balcanica, contribuirà con 25 milioni di euro.

A Idlib, su Idlib, può naufragare la “Jalta siriana” messa in essere, con le vittorie sul campo, dal patto a tre stretto da Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyp Erdogan. Un patto che la resa dei conti finale voluta da Bashar al-Assad, e sostenuta da Russia e Iran, può saltare per l’uscita del “Sultano di Ankara”. Sia chiaro: all’autocrate turco il tema della tragedia umanitaria serve essenzialmente per difendere gli interessi geopolitici della Turchia in quell’area cruciale della Siria. E poi c’è un altro punto di rilevanza strategica: la Turchia può accettare che Bashar al-Assad resti al potere a Damasco, ma ciò che non accetterà mai è che un rais rimasto in piedi essenzialmente grazie all’appoggio militare di Mosca e Teheran (e degli Hezbollah libanesi), possa ergersi a vincitore della “partita siriana” e pretendere di rientrare nel grande giro mediorientale. Su questo, Erdogan è pronto a rompere l’alleanza con Russia e Iran. E per farlo intendere ha ordinato all’esercito di rafforzare la propria presenza nell’area a ridosso di Idlib. D’altro canto, concordano fonti diplomatiche a Bruxelles, Erdogan è mosso più che altro dai problemi interni; sul piano delle relazioni internazionali, invece, la pretesa turca di poter dettare legge all’interno di un territorio che la comunità internazionale assegna comunque sotto ogni profilo alla sovranità siriana, rende impossibile creare le condizioni per ciò che probabilmente invece Erdogan spera, vale a dire un coinvolgimento della Nato nel conflitto.

Per Damasco riprendere Idlib significa di fatto chiudere la guerra civile e riprendere il controllo dell’autostrada M5 che dalla Giordania arriva in Turchia, fondamentale per le rotte di rifornimento, e della M4, che collega Aleppo a Latakia, città costiera roccaforte degli al-Assad, oltre che sede della base aerea russa di Hmeimim. La Russia intende ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran, Ankara invece ha fatto leva sulla costituzione Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate. Per assumere il controllo de facto del nord della Siria.

Annota in proposito, in un documentato report per Ispionline, Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow: “Ma se è soprattutto la Turchia che dalla potenziale caduta di Idlib rischia di più – sia nella veste di sponsor, umiliato, dell’opposizione, sia in quella di Paese rifugio per una nuova ondata di profughi – è il ruolo di mediatore quasi infallibile di Mosca che è ora sotto la luce dei riflettori. Da una parte i vertici russi sanno bene di non poter negare al regime una simbolica vittoria finale che solo la presa di Idlib può garantire. Assad ha bisogno di poter presentare all’opinione pubblica lealista la caduta dell’ultimo bastione dell’opposizione prima di sedersi, da una posizione di forza, a due tavoli ben più complessi: lo status finale nel nord-est e, soprattutto, la questione di Afrin e del triangolo Azaz-Al-Bab-Jarablous, occupati dalle forze turche tra il 2017 e l’inizio del 2018. A Mosca sanno che soprattutto quest’ultimo nodo sarà difficile da sciogliere e che il nord della Siria rischia di ritrovarsi nel lungo termine sotto protettorato turco, in una situazione simile al nord di Cipro, e che, proprio per questo, non possono negare ad Assad una vittoria “finale” ad Idlib. Ne va della credibilità del regime e, indirettamente, della credibilità di Mosca, che dall’intervento in Siria nel 2015 sta cercando di proporsi ai regimi autoritari del Medio Oriente come un alleato più affidabile e determinato degli Stati Uniti”. E’ questa la vera posta in gioco nella guerra totale tra Erdogan e Damasco.

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *