DA MADRID

Marco Calamai

ingegnere, dirigente sindacale CGIL, funzionario Nazioni Unite. Giornalista, ha scritto libri e saggi sulla Spagna, America latina, Balcani, Medio Oriente. All'ONU si è occupato di democrazia locale, dialogo interculturale, problematiche sociali, questione indigena. Consigliere speciale alla CPA ( Autorità Provvisoria della Coalizione, in Iraq (Nassiriya) si è dimesso dall'incarico ( 2003 ) in aperta polemica con l'occupazione militare. Vive a Madrid dove scrive su origini e identità.

Se il governo Letta tutela la sopravvivenza dell’«Italia oligarchica dei clan»

Il governo Letta-Alfano sta già suscitando nella società un sentimento crescente di delusione, un misto di risentimento e rassegnazione che non promette niente di buono. La situazione è preoccupante. Il nervosismo aumenta a tutti i livelli della società. Non è in sé l’idea di grande coalizione che dispiace alla gente quanto l’impressione diffusa che questo matrimonio “forzato” sia inadeguato ad avviare a soluzione i grandi problemi del paese i quali, al contrario si stanno aggravando.

E’ stato detto che quello italiano (Zagrebelsky, pochi giorni fa) sarebbe un regime democratico che si sta trasformando in oligarchico. Difficile dargli torto. A differenza di altre democrazie occidentali l’Italia resta il paese del clientelismo diffuso, dove l’ascensore sociale è garantito soltanto ai membri di uno specifico clan. Dietro le diverse espressioni del potere (governo, partiti, grandi imprese, alte sfere dell’amministrazione statale, banche) operano gruppi ristretti, tra loro spesso trasversalmente intrecciati, il cui obiettivo fondamentale non è il bene comune bensì la conservazione delle proprie posizioni, individuali e di gruppo, nel mondo politico, economico, giornalistico, accademico e quant’altro. Gli abitanti del “bel paese” non si sentono cittadini ma sudditi della oligarchia dei clan. Nasce da qui la nota mancanza del senso dello Stato, tipica del “carattere” degli italiani, di cui il trasformismo è una delle espressioni più peculiari.

Per un insieme di ragioni, tra le quali la specifica crisi del modello italiano nel quadro dell’economia globalizzata, questa patologia si è andata aggravando negli ultimi anni. Gli stessi partiti sono diventati mezzi di promozione sociale, strumenti dai quali, con una buona dose di pazienza e servilismo e affidandosi al metodo della cooptazione dall’alto, si possono ottenere prebende e carriere. Un fenomeno che attraversa ormai buona parte della politica, di destra, di centro e di sinistra. E che mortifica le effettive capacità professionali, a tutti i livelli. Non si diventa primari di un ospedale, o manager aziendali di alto livello perché si hanno idee e proposte innovative ma fondamentalmente perché si garantisce il rapporto con una certa cordata. Tipici dei clan sono i “grandi vecchi”, animati dalla volontà di tutelare ad ogni costo la propria posizione di capi. Il che spiega, tra l’altro, l’invecchiamento anagrafico delle elite, la discriminazione delle donne e il faticoso ricambio all’interno degli apparati del potere.

Qualcuno dirà: l’Italia è sempre stata così. Già, ma oggi la crisi (non solo quella finanziaria più recente, ma quella economica che impedisce al Pil nazionale di crescere da più di un decennio) ha reso insopportabile, per milioni di persone, questa situazione. I “sudditi” stanno prendendo coscienza delle ragioni di fondo di questa crisi e non intendono più accettare la soluzione oligarchica. Vogliono diventare “cittadini”. Sta qui la vera novità dell’attuale momento storico.

Per la prima volta una generazione attribuisce la colpa della sua condizione di “non lavoro”, o di “mezzo lavoro”, all’Italia oligarchica dei clan. Ed esprime apertamente il suo malessere e la sua rabbia. Nella convinzione che le vecchie forme della politica, i partiti, siano i principali responsabili di questo disastro sociale e morale.

Questo sentimento si diffonde tra la gente e molti vedono in ciò il rischio di un collasso democratico. Eppure si è lontani mille miglia da vecchi scenari come quello del primo dopo guerra, evocati oggi da qualcuno per screditare le nuove espressioni politiche che crescono dal basso. La minaccia alla democrazia non viene dalla protesta giovanile che anzi la reclama ma dal modo con cui il regime oligarchico cerca di rimuoverla.

L’Italia dei clan risponde a questa sollecitazione cercando di esorcizzarla chiudendosi a riccio. Cerca, con modifiche di facciata, di allentare la morsa della indignazione che mette in discussione i vecchi assetti del potere. Magari sfruttando errori e ingenuità di chi cerca di rappresentare in modo nuovo il malessere della società. Cresce così l’impressione che l’attuale governo, il “monocolore democristiano” o il “Monti bis” come lo si voglia chiamare, sia sostenuto dal Pd e dal Pdl per motivi che hanno a che fare più con la filosofia di sopravvivenza dei membri dell’oligarchia che con un reale afflato innovatore.

  1. Condivido e preciso. L’Italia dei clan ha radici storiche molto profonde, ma queste precedono – e non seguono – l’affermazione del “regime democratico”. Tutto ciò era evidente già ai tempi degli “stati regionali”, quando Machiavelli malediva il localismo mentre Guicciardini lo celebrava, perché con le sue divisioni aveva favorito la grandezza dell’Italia rinascimentale.
    Consumata ogni speranza di ristabilire la democrazia attraverso lo “stato dei partiti”, nella seconda repubblica abbiamo interpretato il bipolarismo soprattutto come una modalità per misurare i rapporti di forza (legge elettorale) e non per regolare i rapporti tra le forze (riforma costituzionale).
    Inevitabilmente, oggi ci ritroviamo perciò al punto da cui nel dopoguerra credevamo di esserci allontanati per sempre, con le oligarchie, il localismo collusivo, il clientelismo familiare. E’ l’Italia dei clan, appunto. Che è passata indenne attraverso il Risorgimento, il fascismo e anche attraverso l’ultimo mito nazionale, quello della costituzione repubblicana.

    • La patologia oligarchica è in effetti un fenomeno di “lunga durata”. Ed è certamente legato al ritardo e al modo (scarsa partecipazione di popolo) con cui si è costituito lo Stato unitario. I clan si contrappongono allo Stato o comunque cercano di piegarlo al proprio tornaconto. Dietro i clan c’è il “familismo amorale” da un lato, il “localismo” dall’altro. Resta da spiegare perché l’Italia sia un caso particolare nel quadro dell’Europa occidentale, per certi aspetti più vicina al caso libanese, ad esempio, che al caso francese o spagnolo. La secolare presenza straniera ha certamente favorito la patologia oligarchica: ogni clan, come appunto in Libano, si sostiene con l’aiuto di Stati confinanti più forti. Perfino la prima Repubblica è stata segnata dal condizionamento politico e ideologico del sistema bipolare: DC-USA da un lato, PCI-URSS dall’altro. Per non parlare dell’influenza dello Stato del Vaticano ancora oggi. C’è molto, come si vede, su cui discutere.

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