“Se vuole può tornare quando vuole. A chiacchierare, a giocare con i bambini, a raccontarci di lei, a sentire i nostri racconti. Siamo qui.” Mi ha salutato così un giovane, diciamo trentenne, col quale mi sono ritrovato a parlare uscendo dalla basilica di Santi Apostoli. E mi sono accorto che dopo tanto tempo mi ero fermato a lungo in una basilica romana.
Fa impressione passare a Piazza Santa Apostoli, nel cuore di Roma, e trovarsi all’improvviso davanti uno spettacolo mai visto: decine e decine di tende canadesi riempiono il porticato antistante la Basilica: tende canadesi, in linea di massima a due posti. Tende rosse, tende verdi, tende blu. Tra le quali si affaccia o si scorge un mondo altrettanto colorato: africani neri, mediorientali, italiani al 100%, asiatici. Tutti lì, compostissimi sui loro seggiolini, nelle loro chiacchiere che non disturbano nessuno, nel loro pettinarsi composto, nel loro sedere assorti in chissà quali pensieri.
“Ora la notte comincia a fare un po’ freddo, ma nei giorni passati il caldo è stato insopportabile. Così un giorno abbiamo messo qua davanti delle piscina di plastica, per far rinfrescare i bambini. E’ pur sempre territorio vaticano. Ma alcuni agenti ci hanno detto di toglierle subito.” Per lavarsi questo centinaio di sfollati da Cinecittà dai primi di agosto conta sulla disponibilità degli esercenti vicini. Ma ora comincia la scuola, e dopo aver lavato i loro bambini devono portarli a scuola. Ma il viaggio è lunghissimo. E come lo faranno? “Con mezzi di fortuna, con gli autobus, ma ci vuole tanto tempo, qui si tratta di attraversare tutta Roma. Ma scuola è un diritto, e i nostri figli non possono perderlo, anche se ci vogliono ore per arrivare laggiù.”
Si avvicina un signore, capelli cortissimi, che ormai è disoccupato da tempo, ma sta a Roma da diciassette anni. Africano, parla italiano come me, forse con un accento romano più marcato del mio. Intanto un gruppo di turisti stranieri si è fermato vicino a noi, guarda il porticato, stupendo, della basilica, le tende, le scene di vita quotidiana che si accavallano tra le canadesi tagliate da quelle colonne nobili, bianche, possenti. Non capiscono, forse si chiedono se si tratti di un film. Tra di loro c’è un prete, arrossisce, saluta tutti, non sa cosa dire, poi riesce a sussurra: “ come mangiate?” Il ragazzo che mi ha accolto nel camping di Santi Apostoli lo guarda con allegria, forse per aiutarlo a distendersi: “ don Aniello la mattina ci porta tè e caffè, di buon’ora, poi arrivano gli amici. Sì, c’è una rete di solidarietà tra di noi, e ci portiamo da mangiare, quel che gli amici riescono a fare. Ma non è tutto. Vede quella signora? Dice indicando un’anziana signora molto elegante che sta entrando in basilica: lei proprio ieri ci ha portato giocattoli per i bambini. Sono importanti anche quelli.” Ripenso alle piscina di plastica rimosse. Avranno sofferto il caldo i vostri bambini. “Hanno sofferto di più sentendo l’assessore che è venuto a proporci di ricollocare le mamme e i bimbi piccoli in una struttura che ne può ospitare un po’, ma senza padri, senza fratelli grandicelli. Lei ci manderebbe sua moglie, suo figlio, in una struttura lontana, dove non può neanche entrare? Io pensavo che questa fosse separazione di nuclei familiari, non una politica sociale. Ma noi vorremmo contribuire, alla città e al nostro futuro. Per questo abbiamo proposto che ci diano una struttura abbandonata, un palazzo da riabilitare. Potremmo farlo noi, tra di noi la manodopera qualificata non manca. Servirebbe a Roma, servirebbe a noi. Mica per diventarne padroni, ma le formule si potrebbero trovare. Il lavoro potrebbe estendersi fuori dalla struttura, quante aree da recuperare ci sono a Roma.”
I turisti ascoltano, quasi trasecolati. A me invece Santi Apostoli comincia a interessare. Mi sembra di stare in chiesa, invece sono fuori. “Questa chiesa la doveva vedere domenica mattina. Quando è venuto il vescovo ausiliare per Roma Centro. E’ stato un momento fortissimo. Lui è entrato, ha indossato i paramenti e noi lo abbiamo seguito. Cristiani, musulmani, non credenti, lo abbiamo seguito tutti. Qualcuno non sapeva bene quando sedere, ma tutti hanno pregato, ascoltato. Il nostro parroco ha capito bene cosa sia accoglienza, cosa sia fraternità, ci ha detto. E ci ha fatto bene, davvero. Ma la cosa più bella è stata che guardandolo uscire ho avuto la sensazione che abbia fatto bene anche a lui. E questo mi ha reso felice, mi sono sentito utile.”
A quel punto mi sono deciso a rientrare nella basilica. Lì dentro sentivo la memoria di qualcosa che mi riguarda. E penso che oggi o domani tornerò dal mio amico, per prendere un caffè a piazza Santi Apostoli, con lui. Un conto è passarci una volta, nella nuova Santi Apostoli, un conto è tornarci, rivedere, notare i silenzi, uscire dal romanzo sentimentale, guardare i bambini più attentamente, e chiedersi se oggi Pasolini non avrebbe più bisogno di andare in periferia per capire meglio. Anche a noi, senza bisogno di arrivare a Pasolini, oggi basta andare a Piazza Santi Apostoli per capire dove siamo, e come siamo…