Modesto suggerimento per Matteo Renzi: una legge sul conflitto di disinteresse fra gli italiani e Sanremo. Al ritmo di una riforma mensile promesso dal presidente del Consiglio incaricato, si potrebbe varare prima del Festival 2015. Perché il Festival in corso ormai è fuori corso. Forse gli ascolti aumenteranno un po’ o magari parecchio in vista della finale di domani, però la formula è logora. Lo conferma il disastro della seconda serata del Festival: tre milioni e mezzo di spettatori e nove punti di share in meno rispetto al 2013 segnano lo stadio più basso dell’attenzione e dell’affezione dal 2008 a oggi. Che cosa accade? È stata davvero colpa della partita del Milan in onda mercoledì contemporaneamente a Sanremo? È l’ipotesi del direttore di Raiuno, Giancarlo Leone, e dello stesso Fazio. Mah. Sapremo stamani com’è andata mentre Napoli e Lazio erano impegnati in «Europa League». All’Ariston ieri sera almeno ha sorpreso la trovata della finta interruzione che ha dato adito al flash mob musicale di Shai Fishman and The A Cappella All Stars, mentre Renzo Arbore primeggiava in autoironia con la sua «Amnesy International».
In generale, lo scaricabarile non porterà lontano la Rai che organizza il Festival e lo foraggia con ingenti risorse, negli anni ripagate solo in parte dalla pubblicità. È evidente, infatti, che si va chiudendo una lunga stagione inaugurata giusto da Fabio Fazio e Claudio Baglioni nel 1997 con il fortunato programma Anima mia. Prende corpo là il lungo corso della nostalgia declinata nei termini del «politicamente corretto». Comincia la voga del revival, del vintage, ovvero della vendemmia nell’immaginario collettivo (questo o quel grappolo pari sono), di un modernariato più o meno colto e sempre pop.
Il fenomeno Fazio si basa sull’ininterrotto amarcord che paradossalmente trova a sinistra i suoi aedi: «Ah, signora mia, si stava meglio quando si stava peggio». Sono gli scrittori e in generale gli artisti in fuga dal «regime» del ventennio berlusconiano, fra i quali l’ex satirista Michele Serra che figura tra gli autori degli show di Fazio (Sanremo incluso). Che tempo che fa, Vieni via con me, Quello che (non) ho e lo stesso Festival dei Fiori diventano un unico formato con minime variazioni sul tema del rimpianto divertito/divertente. Non manca, ogni volta, la parola chiave elevata a tema di fondo e teatralizzata nei duetti tra Fazio e Saviano o tra lui e Luciana Littizzetto che ieri sera ha fatto ricorso a un «vaff» in cerca di Auditel. Per Sanremo 2014 il vocabolo salvifico è «bellezza». Originale, vero? Scelto forse contando sull’eco del successo del film di Sorrentino, La grande bellezza, che il prossimo 2 marzo potrebbe vincere l’Oscar.
Tutto ciò appare da tempo ingiallito. Non raccontano granché di nuovo i personaggi invitati, nonostante l’innegabile valore di ciascuno. Vetusta è la modalità delle pause rituali. Insopportabile appare la stupita accoglienza riservata alle belle fanciulle sul palco, come se fosse Fazio a scoprire che Casta o Smutniak non sono del tutto inguardabili (col controcanto di «Lucianina»: roba da avanspettacolo). E se la finissimo con l’anafora? Non sono stufi anche loro della ripetizione retorica?: «La bellezza è, la bellezza è…».
Questa «nostalgia» esprime invero la corda più autentica e viscerale del Paese stanco che tuttavia non si rassegna alla sua senilità simbolica. È la cifra dell’Italia che ha voglia di una malintesa «Dolce Vita», come disse il Berlusconi colto in castagna parlando di una delle sue «cene eleganti» con giovani donne (pagando, s’intende). E oggi? Nell’Italia in cui tutto cambia, forse perché tutto resti eguale secondo il monito del Gattopardo, la celebrazione del bel tempo che fu (e che fa) pare aver fatto il suo tempo. O no?
P. S. – L’altra sera in redazione giungevano una dopo l’altra a intervalli regolari le fotografie da Sanremo e quelle dei «Brit Award» da Londra. Da una parte Baglioni, le gemelle Kessler, Franca Valeri; dall’altra Kate Moss che ritirava il premio a nome di David Bowie, Ellie Goulding, Bruno Mars, Lorde e One Direction. Non è una faccenda di esterofilia, ma sembravano due mondi: fotogrammi del passato (anche bello) di un’Italia nello specchio di se stessa; e istantanee del presente, magari guasto e sciocco, ma, come dire?, vivo.
Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 21 febbraio 2014.