È opinione condivisa da estimatori e detrattori che Berlusconi in politica non abbia ottenuto alcun risultato significativo per via principalmente dei suoi ineluttabili conflitti di interesse. E si indicano almeno due capitali promesse mancate: la rivoluzione liberale e la riforma fiscale, quando in realtà avrebbe semmai recriminato per la riforma non avvenuta della giustizia. Ma il suo merito principale, poco riconosciuto dopo la sua morte, è stato quello di aver colmato nel 1994 un vuoto pericolosissimo. Avrebbe potuto, come altri uomini di potere economico e finanziario a lui pari, dai De Benedetti agli Agnelli, non meno spericolati e profittatori in affari, fare da burattinaio anziché scendere in campo, ma volle impegnarsi in prima persona intuendo anzitempo il profilarsi di uno scenario inevitabile successivo al crollo verticale e vertiginoso della balena democristiana, colata velocemente a picco come un transatlantico affondato. In un Paese giovane qual è l’Italia e sempre tentato da rigurgiti totalitaristici, il vuoto enorme lasciato di colpo dalla Dc (e con essa anche dai partiti alleati) sarebbe stato necessariamente colmato da forze nuove e non soltanto politiche, con il rischio reale di un’insorgenza anche militare. Berlusconi manifestò tale minaccia additando il pericolo comunista che sarebbe potuto diventare facilmente concreto, ma in verità indicando, forse non in tutta consapevolezza e chiarezza di veduta, non il Pci né l’influenza russa quanto quegli ambienti oscuri e indistinti che in parte si richiamavano alla trascorsa maggioranza silenziosa e sempre pronti, dietro le quinte, a prendere la scena politica e istituzionale.
La nascita di Forza Italia costituì allora il deterrente perché il vuoto lasciato dalla Prima repubblica non fosse riempito da Proci senza volto che nei fatti vedeva solo lui. Fece perciò capire che c’era un pericolo incombente sulla democrazia e, come in una parabola di facile comprensione, chiamò tale pericolo “comunismo”, ma era ben altro che vedeva. Forza Italia, fondata come insieme di club senza ideologie, fortemente pragmatica, cattolica aperta agli anticlericali, liberale e nello stesso riformista, un po’ populista e un po’ oligarchica, fu l’arca che imbarcò superstiti di ogni partito naufragato e si propose come Centro. In altre parole fu un capolavoro di ingegneria politica e un saggio di come un cittadino senza background, privo di ogni militanza politica, col solo merito di essere un affermato imprenditore, possa farsi leader e capopopolo, poi anche capo di governo, in virtù di una vocazione innata alla demagogia, ma anche di un talento politico di leggere il futuro e anticiparlo prevendendolo.
Tutto ciò che è avvenuto nei successivi trent’anni è stato un barnum di eccessi, show, sconvenienze ed esibizioni che sono tipiche di un “cumenda” brianzolo senza grandi letture e con scarsa coscienza morale, costantemente in vena di sollazzi, abusi, intemperanze e ricerca di occasioni di arricchimento, uomo di buon cuore, padre di tradizioni italiane, marito ancor più all’italiana. Come rappresentante massimo delle istituzioni ha creduto di poter raggiungere obiettivi per il miglioramento del Paese con la facilità, la faciloneria e la condotta sregolata messa negli affari. Ed ha infilato una sfilza senza fine di nulla di fatto che gli costeranno un posto di primo piano nella galleria degli statisti italiani. Ma l’impresa compiuta agli inizi, proponendosi come un vero “salvatore” dell’Italia, rimane un fulgido capitolo della storia del Dopoguerra. Il Paese dovrà essergli riconoscente unicamente per quel soccorso prestato alla democrazia, dimenticando il seguito, segnato da una sarabanda di numeri da circo e atti osceni: anche perché se non ha fatto niente è anche vero che non ha fatto danni.
IL SOTTOSCRITTO