A volte viene il dubbio che le parole siano più sapienti degli uomini che le usano, o almeno più ricche di significato e di sfumature, e non occorre per questo rivalutare Isidoro di Siviglia e i suoi Etymologiarum libri. Ci sono parole ambigue, che sembrano ambigue, e forse sono invece straordinariamente capaci di rendere l’ambiguità delle cose.
A proposito di rivoluzione, nella Enciclopedia Treccani online si legge:
Nell’uso scientifico, per un corpo in movimento intorno a un altro corpo, lo stesso che “giro completo”, e anche il relativo moto.
Nell’uso figurato, mutamento radicale di un ordine statuale e sociale, nei suoi aspetti economici e politici.
Pare davvero strano che l’uso figurato del termine significhi l’esatto contrario dell’uso scientifico. O forse non si tratta di contrari, ma dell’interazione tra tensioni e spinte differenti.
La rivoluzione francese ha segnato la fine dell’antico regime e ha posto le basi della democrazia moderna oppure ha riportato le cose al punto da cui erano partite, con un caporale che non lotta per libertà, fraternità e uguaglianza, ma riesce a farsi nominare imperatore?
La rivoluzione russa ha segnato la fine del potere zarista e di secolari rapporti sociali ed economici oppure ha portato alla nuova forma di zarismo contemporaneo e al nuovo spazio per capitalisti selvaggi e mafie dai vari interessi?
Gli esempi possono moltiplicarsi, ma è interessante osservare, da questo punto di vista, anche il nostro piccolo mondo di questi anni.
Nel 1993, Mario Segni e altri spiegarono che occorreva diminuire il numero delle preferenze esprimibili al momento delle elezioni, perché veicolo di corruzione e di infiltrazioni mafiose; si aprì la lunga strada della rivoluzione maggioritaria contro i residui proporzionali cui si attribuiva gran parte del malaffare della famosa prima repubblica. Si discusse sulla differenza tra maggioritario e uninominale, tra scontro di coalizioni e bipartitismo, si arrivò alle liste contraddistinte dal nome del candidato alla direzione del governo, nacquero i grandi schieramenti di centro(-)destra e centro(-)sinistra e, per non farci mancare nulla, si discusse anche sulla necessità o meno del trattino.
Il lungo percorso della rivoluzione che doveva condurre a un sistema elettorale e politico simile a quello britannico dove gli elettori conoscono i due candidati che si scontrano, per cui possono chiedere conto del loro comportamenti, ha condotto a una strana situazione.
Molti oggi spiegano che senza le preferenze diminuisce la democrazia e aumenta il potere delle segreterie dei partiti, molti dicono in questi giorni che una dose maggiore di proporzionale consente di rappresentare meglio le diverse componenti della vita sociale, culturale e politica. Il cammino verso il bipartitismo porta in questi giorni alle consultazioni con il presidente della repubblica ben 23 gruppi presenti in Parlamento.
E la rivoluzione? La rivoluzione è compiuta, non nel secondo senso indicato nella Enciclopedia Treccani, ma nel primo, quello di giro completo.
Certamente, la metafora del giro completo è dotata di una certa efficacia. D’altra parte, è pur vero che in questo trentennale anno cosmico abbiamo visto davvero di tutto e l’incontrario di tutto, l’Afelio ed il Perielio.
Da una riforma costituzionale di un partito di sinistra che ricalcava in buona parte il programma berlusconiano (e prima P2ista), alla secessione verso SINISTRA (ribadisco: a sinistra) annunciata dalla (ex) democristiana Rosy Bindi nonché il ritorno alle suggestive (ma la storia ha dimostrato inefficaci) immagini pro-si in cui Dini, Monti, De Mita e Grillo vengono messi assieme in un collage che è riuscito nell’impresa non facile di renderli ancor più inguardabili. Lo sfondo cupo ha poi facilitato l’associazione alle incisioni degli iracondi di Albrecht Dürer nel girone relativo, in un’edizione della Commedia che avevano i miei nonni nella loro casa.
Se di costante e di giro completo si tratta … cercasi un Keplero che me lo spieghi.