Dal presente non nasce niente, dal passato nascono i fior. Parafrasando De André, potrebbe essere compendiata così una ritrovata tendenza “letteraria” del cinema italiano d’autore. Dopo La grande bellezza di Sorrentino che serba pur sempre la sua matrice novecentesca nella Dolce vita felliniana e Il giovane favoloso con cui Martone ha rinverdito l’Ottocento del Leopardi ascetico e ribelle, ecco un ulteriore balzo all’indietro, verso il Trecento del Decameron, grazie a Maraviglioso Boccaccio degli ultraottuagenari fratelli Taviani. Un film inatteso, forte di una freschezza sorprendente. Vero è che i due registi toscani, a lungo campioni dell’”impegno” brechtiano e dell’affabulazione comunistica, tre anni fa si aggiudicarono l’Orso d’oro del Festival di Berlino con Cesare deve morire, una sorta di docudrama scespiriano nel carcere di Rebibbia. Ma alzi la mano in sala chi si aspettava da loro un elogio della giovinezza.
Sottesa a tale fenomeno carsico che ogni tanto affiora alla luce, si direbbe esservi una radicale delusione per il presente, ovvero per l’incapacità diffusa di leggerlo, interpretarlo e governarlo. A cominciare dalla politica che asseconda la deriva di ciò che è, avendo rinunciato a ogni utopia, a qualsivoglia visione e racconto del mondo, che non sia mera comunicazione/promozione di se stessa. Ma la delusione, per Martone come per i Taviani, non equivale al pessimismo, anzi, si traduce in un impulso a sovvertire le condizioni date, attingendo alle fonti della identità italiana ed europea.
Qui per esempio non v’è alcunché di “boccaccesco”, nel senso di licenzioso. I Taviani implicitamente smentiscono il Decameron popolare e “napoletano” di Pier Paolo Pasolini (1971), restituendo Boccaccio alla borghesia mercantile fiorentina che gli fu propria e, volendo, a quell’ottimismo della razionalità contro i tempi bui simboleggiati dalla peste. Perciò i personaggi dei Taviani sono infinitamente meno corporei e sfacciati di quelli pasoliniani (l’unica novella in comune tra i due film, se ben ricordiamo il primo, è la suora con l’amante). Resta illuminante quanto scriveva un grande filologo scomparso di recente, Cesare Segre, nella sua introduzione alle Opere di Boccaccio: “L’amore, spingendosi da un lato ad atteggiamenti stilnovistici, dall’altro a rozza sensualità, più spesso si presenta nella vibrante compresenza di spirito e di senso, e si rivela, schiettamente, come una delle molle principali dell’iniziativa umana” (Ugo Mursia ed., 1963).
Spirito e senso, dunque, per i dieci giovani (sette donne e tre uomini) che nella Firenze del 1348 fuggono dalla pestilenza, si rifugiano in una villa collinare e colà decidono di ingannare il tempo (leggi: la morte), raccontando storie fantastiche eppur plausibili. Tra le cento novelle dei dieci giorni del Decameron i Taviani ne scelgono cinque. Oltre alla suora libertina (invero più d’una è peccatrice fra le sorelle), vi sono la storia macabra ed elegiaca di una “risurrezione” grazie alla fedeltà amorosa ma extraconiugale; il ritratto del credulone Calandrino; il legame tra una splendida vedova e il servo prediletto di suo padre (che non perdona gli amanti), e infine il tragico episodio di un nobile che per passione perde tutto, persino il falcone rimastogli quale unico bene, sacrificato per un malinteso.
I novellatori del film sono interpreti ancora sconosciuti ai più. I protagonisti delle novelle, invece, hanno i volti di alcuni fra gli attori più popolari del nostro cinema, e, sebbene con risultati impari tra loro, contribuiscono a offrire sostanza spettacolare e suggestioni contemporanee al film. In particolare, menzioniamo Kasia Smutniak dal fascino enigmatico e il suo innamorato Michele Riondino, l’ottimo interprete tarantino che era Ranieri in Il giovane favoloso, l’altro pugliese Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca. Tuttavia la leggiadria e l’energia di Maraviglioso Boccacciosi palesano soprattutto nello stile dei due anziani autori: l’ondeggiare “rosselliniano” dei prati verdissimi al vento sui colli toscani (o dell’Alto Lazio), le “carrellate” della macchina da presa nei chiostri, nelle gigliate dimore pre-rinascimentali e poi in quelle campestri, il galoppo di Federico degli Alberighi verso il castello della donna adorata che continua a deluderlo… Merito anche delle musiche di Giuliano Taviani (figlio di Vittorio) e di Carmelo Travia, e del montaggio del sodale di sempre Roberto Perpignani.
Il film inneggia all’amore e alla purezza della rinascita sotto la pioggia catartica del finale, e al tempo stesso pare costituire una summa del cinema dei Taviani, della resistenza agli orrori alle spalle e di quelli a venire. Come se Boccaccio fosse già al loro (e nostro) fianco contro i nazi-fascisti in La notte di San Lorenzo (1982) e venisse in soccorso oggi che di “peste in giro ce n’è tanta, dai tagliatori di teste dell’Isis alla mancanza di lavoro”. In tal senso, Maraviglioso Boccaccio non è meno politico del Decameron di Pasolini, frutto però di una delusione più profonda verso la politica e di una riscoperta della bellezza come unica salvezza.
MARAVIGLIOSO BOCCACCIO di Paolo e Vittorio Taviani, ispirato al “Decamerone” di Giovanni Boccaccio. Interpreti e personaggi principali: Lello Arena (duca Tancredi), Paola Cortellesi (badessa Usimbalda), Carolina Crescentini (Isabetta), Flavio Parenti (Nicoluccio Cacciamanico), Vittoria Puccini (Catalina), Michele Riondino (Guiscardo), Kim Rossi Stuart (Calandrino), Riccardo Scamarcio (Gentile Carisendi), Kasia Smutniak (Ghismunda), Jasmine Trinca (Giovanna), Josafat Vagni (Federico degli Alberighi. Dramma-storico-letterario, Italia-Francia, 2015. Durata: 116 minuti.
Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 28 febbraio 2015. Le foto sono di Umberto Montiroli (dal sito web dello studio Punto e Virgola)