Sarà l’onda lunga della morte delle ideologie che, se ha fortunatamente smussato i grandi scontri teorici del periodo della guerra fredda, talvolta ha anche spento il senso delle differenze ideali. Non è facile capire.
Il dibattito che caratterizzò la cosiddeta crisi del modernismo degli inizi del Novecento è straordinariamente interessante per le vicende culturali non solo del mondo cattolico italiano. Tra i grandi protagonisti italiani di questo acceso confronto si possono ricordare sicuramente Pio X, che promulgò l’enciclica Pascendi che condannava il movimento, Ernesto Buonaiuti, il sacerdote che insieme ad altri rispose con il Programma dei modernisti, ma anche Giovanni Gentile che con grande attenzione intervenne sui temi in discussione mettendo in rilievo i problemi che venivano sollevati e spesso, a suo parere, non approfonditi a sufficienza. Anche limitandosi all’Italia si potrebbero ricordare molti altri nomi, tra cui ad esempio Antonio Fogazzaro che con Il santo rende molto bene il clima di quelle zone del cattolicesimo italiano, e non solo, sensibile alle istanze del modernismo.
L’opera, ampia, complessa e articolata, di Ernesto Buonaiuti è straordinariamente affascinante per la capacità di affrontare e discutere temi di grande rilievo storico e teorico, per l’impegno con cui cerca di approfondire le questioni soprattutto religiose che lo tormentano, per il coraggio intellettuale con cui porta avanti le proprie idee, modificandole anche, quando ne sente la necessità. Si occupa di storia del cristianesimo, di storia comparata delle religioni, del pensiero dei primi secoli del cristianesimo, della riflessione dei Padri della Chiesa, delle discussioni sul dogma trinitario con particolare riferimento a Gioachino da Fiore.
Soprattutto per le sue posizioni relative alla proposta di uno studio storico-critico della storia del cristianesimo fu vittima di ripetuti provvedimenti disciplinari, fino alla scomunica, e successivamente venne colpito anche dal regime fascista, trovandosi a essere – suo malgrado – una sorta di merce di scambio durante le trattative in vista dei Patti Lateranensi del 1929, perdendo infine la cattedra universitaria per avere rifiutato di prestare il giuramento richiesto ai docenti universitari nel 1931.
Il suo pensiero rimane assolutamente affascinante anche se non se ne condividono l’ispirazione e il metodo. Come storico della filosofia medievale, ad esempio, le sue prese di posizione sono decisamente molto discutibili, anche se hanno il merito di sollevare problemi e porre domande che vale sempre la pena di tenere presente. Ciò che soprattutto colpisce è la sua capacità di esporre le sue opinioni, sfidando spesso i dati storici per fare emergere le questioni teoriche che gli interessa sottolineare.
Non c’è alcun bisogno di farne una specie di martire delle persecuzioni o di precursore di tesi destinate a riecheggiare nei dibattiti conciliari del concilio Vaticano II o ancora di rappresentante di una irriducibile fedeltà alla propria coscienza e alla propria onestà intellettuale, per rispettarlo come uomo e come studioso, per interessarsi alle sue ricerche e per metterne in discussione, anche profondamente, talune conclusioni.
Le frasi in corsivo provengono da un appello presente sulla rete, di cui non sono riuscito a capire la data, per la riabilitazione di Buonaiuti. La domanda è: ma c’è davvero bisogno di schierare grandi firme cattoliche e laiche per chiedere che sia riabilitato, e da chi? Da quella Chiesa che ha combattuto aspramente, pur rispettandone fino all’ultimo il ruolo, la funzione e il significato? Se la Chiesa decidesse di riabilitarlo – e non le fece neanche papa Roncalli che pure non nascose mai la sua stima per l’antico compagno di studi – farebbe probabilmente una cosa significativa per il mondo cattolico. Ma perché i laici dovrebbero fare pressioni in questa direzione? Per spegnere tutte le differenze, per spegnere importanti divergenze di posizioni?
L’appello si conclude con un riferimento a
un clima favorevole alla rivalutazione pubblica delle sue virtù civiche e religiose, soprattutto in un tempo come il nostro, in cui da ogni parte si fa giustamente appello alla capacità personale di resistenza critica al conformismo intellettuale e al relativismo morale.
Buonaiuti sarebbe stato quasi sicuramente d’accordo con questo riferimento negativo al relativismo morale, ma forse sarebbe auspicabile che gli intellettuali laici continuassero a studiarne l’opera, ma anche a non condividerne le conclusioni contrarie a un possibile relativismo morale.
Oggi 70 anni dalla morte. Su un’altra testata si ripropone l’opportunità della riabilitazione.
La posizione di Buonaiuti peraltro era chiarissima già quando lo stesso era in vita: credo a tutto ciò che la Chiesa crede, ma non condanno tutto ciò che la Chiesa condanna.
Sono pienamente d’accordo quindi con l’ambiguità di un riconoscimento da parte della Chiesa, anche se ritengo ci possano essere spazi per iniziative che ridiscutano anche degli aspetti della persecuzione di cui Buonaiuti fu oggetto.
Rilevo peraltro che il metodo persecutorio e la svalutazione del pensiero dello studioso romano fu adottato dallo stesso Gentile, di cui casualmente sto leggendo il tomo sul modernismo. Nel saggio dedicato proprio a Buonaiuti questi non viene citato e le osservazioni riportate sfiorano spesso l’insulto.
Il fatto che anche dal versante laico si chieda la riabilitazione di Buonaiuti può, in un senso, sembrare effettivamente un implicito riconoscimento della concezione continuista che la Chiesa ha della propria storia, ma in un altro senso rappresenta forse un tentativo di dialogo da parte di una tradizione di pensiero che si riconosce come esterna a quella della Chiesa. Il giudizio su un evento storico ne sottolinea la distanza e tenta di valutare criticamente le azioni degli uomini che agirono immersi nello scorrere di quella storia, ma occorre non dimenticare che è anche il giudizio di attori che stanno vivendo la storia di oggi. Per questo forse non basta ridurre a una questione di coscienza il fatto che pontefici contemporanei riconoscano errori nelle condanne di Galileo o dei Modernisti.
Lo storico del pensiero è consapevole che gli autori di quelle condanne erano attori collocati in specifiche tradizioni, ma una considerazione di questo tipo non dovrebbe portare a sottovalutare l’importanza del modo in cui quanti si sentono in continuità con quelle tradizioni agiscono oggi secondo le loro proprie dinamiche. Allora si potrebbe pensare che la richiesta di riabilitazione e di dialogo provenga non dagli storici, ma da una coscienza diffusa di ispirazione laica che non si esaurisce nel punto di vista dello studioso ma si fa positivamente attore della storia di oggi.
Sono assolutamente d’accordo con l’importanza di rompere la cortina di silenzio a proposito dell’opera e della vita di Ernesto Buonaiuti e con il giudizio negativo sul comportamento della cultura sia cattolica sia laica. Quello che mi lascia perplesso – ma posso naturalmente sbagliare – è la logica delle riabilitazioni e dei perdoni che costringe a spegnere le differenze e a riconoscere valore soprastorico a istituzioni come la Chiesa, che personalmente non sono sicuro di voler riconoscere. Mi domando se non sarebbe più logico, dal punto di vista laico, pensare che papa Francesco non abbia alcuna responsabilità per la condanna di Buonaiuti così come Giovanni Paolo II non ne aveva alcuna per la condanna di Galileo. Poi, se loro se la vogliono assumere, è una questione che riguarda loro, la loro coscienza, ma soprattutto la loro concezione della storia.
La ferita culturale da sanare esiste sicuramente ed è bene parlarne, ma personalmente penso che il contributo migliore sia di riprendere a studiare il pensiero di Buonaiuti e a dialogare con lui, rispettandolo per i suoi scritti e per la sua vita, mantenendo però la possibilità di ritenere ad esempio che, nel corso della polemica sul modernismo, erano assai acute e rilevanti le osservazioni e le critiche di Gentile a taluni autori modernisti, senza cadere nella damnatio memoriae del primo o nella riabilitazione dei secondi.
È singolare che una discussione analoga sulla revoca della scomunica da parte della comunità ebraica portoghese di Amsterdam si riapra anche a proposito di Spinoza. A questo proposito, scrive Steven Nadler, uno dei quattro studiosi a cui era stato chiesto consiglio: Confesso che, dopo una lunga riflessione, ho concluso che non vi sono buone ragioni storiche o giuridiche per la revoca della scomunica, piuttosto vi sono buone ragioni contro il suo annullamento. E argomenta questa sua presa di posizione in un articolo sul New York Times, ripreso da la Repubblica il 29 giugno 2014.
Sono un semplice cittadino che, venuto a conoscenza dell’appello del 25 giugno 2014 per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti ad iniziativa di Vittorio Bellavite e Gian Franco Monaco, vi ha aderito immediatamente con grande partecipazione perchè, dopo quasi 70 anni dalla morte di Buonaiuti, questa iniziativa rompe finalmente la cortina di silenzio di gran parte della cultura italiana, di quella cattolica concordataria ma anche socialcomunista e liberale (Buonaiuti non fu certamente tenero con Croce, vedasi Pellegrino di Roma). Solo Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera fece notare nel 2000, al tempo della richiesta di perdono di Papa Giovanni Paolo II, l’assenza di una purificazione della memoria sul fenomeno modernista. Fenomeno di cui nemmeno il pensiero cosidetto laico ha mai ricordato la persecuzione a cui furono sottoposti tanti uomini di cultura.
Al trattamento senza pietà riservato a Buonaiuti contribuì anche lo Stato italiano che, dopo la caduta del fascismo, non lo reintegrò nella sua Cattedra di Storia del Cristianesimo da cui era stato allontanato anche per non aver sottoscritto giuramento al fascismo. La ferita culturale da sanare riguarda quindi tutta la cultura italiana, sia cattolica che laica, per il silenzio continuato su un uomo di grande intelletto, di grande fede e animato da un autentico spirito di libertà, prima ancora che fine studioso di Storia del Cristianesimo e di teologia.
Egli, per quel che ne so, trovò sostegno da pochissimi intellettuali quali Arturo Carlo Iemolo e da un altro grande storico, oggi dimenticato (pure lui storico del Cristianesimo oltre che del Risorgimento e mazziniano) come Luigi Salvatorelli.
Ci sto lavorando da un po’ di mesi perché, francamente, Buonaiuti come storico della filosofia è assai lontano dall’impostazione di Dal Pra e dal progetto della Rivista. Eppure si sente che qualcosa li avvicina, una specie di aria di famiglia, che sto cercando di cogliere in alcuni studi di Buonaiuti dedicati al pensiero medievale e negli scritti di Dal Pra del decennio precedente alla fondazione della Rivista (1946).
Ricordiamo che Buonaiuti fu il fondatore insieme al nostro maestro Mario Dal Pra della Rivista di Storia della Filosofia? Dicci tu qualcosa.