Una mareggiata di parole, un’onda anomala di metafore, analogie, allegorie, miti: si apre a Roma il giubileo della misericordia. Papa Francesco racconta la sua visione del cristianesimo, i cronisti radiofonici e televisivi raccontano il papa che racconta, i giornali e i blog sparsi per la rete spesso raccontano i cronisti che raccontano il papa che racconta.
La polizia e l’esercito, gli elicotteri che ronzano nel cielo, i controlli dei pellegrini che migrano verso la grande basilica narrano la storia di questi tempi presi in una morsa di paura e coraggio, di aperture e chiusure, di terrorismo e accoglienza, una storia che difficilmente potrebbe essere più lontana da quella della misericordia che intanto Francesco rappresenta davanti e dentro la basilica di san Pietro.
A volte viene voglia di fare silenzio, assoluto silenzio, togliere la corrente elettrica per spegnere tutti i mezzi di comunicazione che ci bombardano da ogni direzione e con ogni linguaggio. Viene voglia di domandarsi nel silenzio della nostra interiorità da dove vengano tutte quelle parole, che fondamento abbiano tutte quelle metafore, che rapporto abbiano con la realtà tutti quei miti. E la radio, che consente relazioni e aperture attese, ma inaspettate, si collega con Parigi e ci racconta un’altra storia – o forse la stessa storia – che si è sviluppata tra morti e feriti, reazioni di dialogo o bellicose, risultati elettorali che minacciano chiusura e durezza, quindi passa la linea al nostro inviato a Lampedusa o a Calais che parla di migrazioni, di accoglienza, di pericoli e di comprensione.
Sono momenti in cui ci si rende conto di una verità che a volte tendiamo a dimenticare, di quanto la vita, le scelte, gli ideali, le certezze e i dubbi siano fatti della sottile sostanza della retorica, di parole, di immagini, Ma cosa ci stiamo e ci stanno raccontando? C’è qualcosa dietro tutte queste narrazioni? E improvvisamente talvolta ci viene un desiderio irrefrenabile di logica, di sapere quali siano le premesse su cui si costruisce la speranza nella salvezza – e non è chiaro da cosa – nella comprensione per la nostra incapacità di vivere senza pensare di avere un qualche significato, addirittura nella resurrezione e nella vita eterna.
Ho appena finito, nei giorni scorsi, di discutere con gli studenti il De civitate dei di Agostino, uno dei testi che sicuramente stanno alle spalle della tradizione culturale che arriva fino alle immagini del papa che parla di misericordia dalla grande basilica rinascimentale. Agostino riesce a narrare una storia fantastica, meravigliosa, in cui la struttura narrativa della Scrittura consente di mostrare il senso della storia umana, degli imperi che hanno preceduto Roma, dell’impero romano, della religione pagana, della filosofia greca e già Agostino pensa che il possibile significato della storia umana dipenda dalla fede in un destino provvidenziale di vita e di felicità eterne. Si riesce a comprendere, in qualche misura, la portata straordinaria di quei discorsi nel contesto del V secolo, nel confronto con la storia della società romana e con il pensiero filosofico classico, ma si viene presi da un giramento di testa a sentire ripetere le stesse cose quindici secoli dopo e attraverso avveniristici strumenti tecnici di comunicazione.
La logica dunque non conta molto, viviamo di retorica, per la retorica uccidiamo e siamo uccisi, grazie alla retorica superiamo le nostra ansie e grazie alla retorica ci prendiamo spesso gioco delle ansie altrui. E sarà poi vero che dietro la nostra retorica si nasconde la logica dell’economia, del commercio delle armi, della libido dominandi – come direbbe Agostino – delle esportazioni e importazioni di petrolio? Sarà poi vero che esiste una logica dietro il succedersi dei fatti incomprensibili della storia umana? In fondo ci farebbe piacere sapere che qualche gruppo di persone riesce a manipolarci, a illuderci, a farci muovere e magari morire con dosi massicce di retorica, di metafore, di allegorie e di miti. Ma forse, in un giorno come oggi, affollato di parole che si vogliono in maniera diretta o indiretta provenienti da Dio, occorre rassegnarsi al dubbio che sia puramente retorica anche la narrazione di quella logica che riuscirebbe ad approfittare della nostra inclinazione a farci governare dalla retorica.
L'ASINO DI BURIDANO