La digitalizzazione come arma non convenzionale nella guerra al terrore. Ma anche come leva per azzerare l’evasione fiscale. E opportunità – forse la più grande che l’Italia ha a disposizione – per stabilizzare una crescita sociale ed economica che è ancora assai incerta.
Può avere, paradossalmente, ragione il Presidente del Consiglio nel proporre – come ha fatto ieri alla Reggia di Venaria – la Rete, proprio quel groviglio di macchine e cavi nelle cui maglie sembrano annidarsi alcuni dei peggiori incubi di una società avanzata, come l’antidoto che può salvarci. Può avere ragione lui e i suoi “campioni digitali” su un terreno – quello della modernizzazione – che come nessun’altro è infestato da gufi cinici e da pessimisti cosmici.
Di sicuro, è nella Rete il futuro. Qualsiasi esso sia. E tuttavia la digitalizzazione– che sta già cambiando il senso delle nostre vite senza aspettare autorizzazioni – può funzionare come manifesto di governo solo se è accompagnata da quattro condizioni politicamente assai impegnative.
Concretezza, perché ad un’ipertrofia di convegni sulle amministrazioni digitali e sulle città intelligenti è finora corrisposto un’anemia di realizzazioni e risultati tangibili che ha confinato il digitale in una periferia politicamente irrilevante, popolata da addetti ai lavori (e da “secchioni” come dice il Presidente del Consiglio); mentre al centro è rimasto il dibattito senza sbocco – tra Comuni, Regioni e Amministrazioni centrali – su come allocare risorse finite tra bisogni ugualmente urgenti.
Buon senso,in secondo luogo, perché sarebbe un errore tragico delegare troppo a macchine che non sono progettate per decidere tra interessi conflittuali e entrambi legittimi; ma anche perché il diavolo si nasconde nei dettagli e mai bisogna rinunciare ad una flessibilità ragionevole che deve farci costantemente chiedere se per caso l’automatismo non sta rendendo ancora più gravi gli errori.
Coraggio,poi,perché la digitalizzazione ha bisogno di investimenti iniziali che una strategia di revisione della spesa pubblica intelligente non può che incoraggiare se ne sa calcolare i risparmi potenziali (laddove ciò non sembra essere successo con l’ultima legge di stabilità che taglia a metà la spesa in computer delle amministrazioni); ma anche perché se non è accompagnata dalle riorganizzazioni profonde che rende possibili, l’informatica produce effetti opposti a quelli che il Presidente del Consiglio evoca, cristallizzando ancora di più l’inefficienza.
Più democrazia e trasparenza, infine, e non di meno;perché se i cittadini non sono coinvolti, se non ne utilizziamo l’energia nel domandare l’innovazione e nel controllarne gli effetti, i sistemi informativi finiscono per generare abusi – piccoli o grandi – e, dunque,devastanti crisi di credibilità – come sa bene Facebook che considera tale evenienza il pericolo più grande – che ci porterebbero ancora più indietro.
La presenza di queste condizioni diventa, poi, ancora più importante quando il nemico da battere diventa temibile come il terrorismo diffuso e gli evasori più sofisticati che sono essi stessi prodotto della modernità.
Di tale pericoloso effetto boomerang è, del resto, esempio assai chiaro la strategia di contrasto del cyber terrorismo per come è stata applicata in alcuni Paesi occidentali. Buttare il bambino delle libertà individuali e della riservatezza per sciacquare via l’acqua sporca del terrorismo, può far sfiorire le ragioni stesse per le quali siamo Occidente e dare, in definitiva, ragione al terrorismo. Nuove protezioni richiedono nuove tutele; ma anche il coinvolgimento dei cittadini nella difesa da ciò che minaccia le loro libertà: è interessante, a questo proposito, la proposta che circola negli Stati Uniti di concedere, in cambio di maggiori poteri di intelligence degli apparati di sicurezza, il diritto di ciascuno che sia stato spiato di saperlo dopo un certo periodo di tempo in maniera da rendere più improbabile l’abuso.
E, poi, vero quello che dice il Presidente del Consiglio sul rapporto tra digitalizzazione e tasse: in teoria, sistemi informativi perfettamente integrati all’interno dei Paesi e tra Paesi diversi consentono l’azzeramento dell’evasione. Ma anche – e ciò per l’Italia sarebbe fondamentale – una fortissima semplificazione nei rapporti tra fisco e contribuente, parametro questo che ci vede – secondo la Banca Mondiale – all’ultimo posto tra i paesi europei, dietro alla stessa Grecia. E, tuttavia, in questo contesto, informatizzare senza aver prima semplificato fortemente un sistema di regole assai complesse e contraddittorie, rischia di farci cadere dalla padella dell’evasione nella brace dell’errore che colpisce indiscriminatamente (anche chi avrebbe diritto, invece, ad essere tutelato perché produce reddito e occupazione)senza neppur più il margine di flessibilità che l’automazione ha cancellato
In fin dei conti, vale per Internet quello che gli storici dicono a proposito dell’invenzione della stampa da cui iniziò il Rinascimento: l’impatto delle tecnologie dell’informazione può essere molto positivo, molto negativo, ma mai neutro. DI sicuro è necessaria una visione del mondo che vogliamo costruire facendo leva sul progresso tecnologico ed un pragmatismo feroce per dare sostanza a quella visione attraverso esempi che le persone possono riconoscere nelle loro tasche, nelle strade delle città e non solo quando si siedono di fronte ad un computer. Strategia e casi concreti sono gli stessi ingredienti che ci servono per stanare il lato oscuro della rete che nutre tutto ciò che vive negli spazi che nessuno governa, e rafforzare quelle comunità che, in maniera diversa, terroristi ed evasori non riconoscono.
Articolo pubblicato su Il Messaggero del 23 Novembre