L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Relativismo

«Ma tu credi in Dio?», «Be’, credere è una parola grossa. Diciamo che lo stimo».
È una versione sintetica della storica battuta con cui si apriva il famoso Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano di Gino & Michele e Matteo Molinari. Bei tempi quelli in cui si poteva scherzare su Dio, senza essere accusati di nefandezze o magari decapitati. Ma ci ricordiamo della mitica secolarizzazione, di cui si parlava una cinquantina di anni fa e che ci faceva sognare un mondo in cui ognuno potesse avere la sua fede ma non si sentisse giustificato a cercare di imporla ad altri? Veniva da pensare che anche il credo religioso potesse essere relativo, dipendendo dalla storia, dalla geografia, dalle tradizioni familiari, dalla collocazione sociale e soprattutto potesse smettere di minacciare i nostri – forse poveri, certo relativi – modi di vita.
Doveva esserci qualcosa di importante in quel libro di battute a ruota libera se – come ricorda Oreste Del Buono, nella prefazione all’edizione del 1995 – un severo recensore, per mostrare tutto il suo disaccordo con la scelta della casa editrice Einaudi, scriveva

Sebbene si viva in tempi dominati dal pensierino debole è difficile accettare che, negli stessi tascabili che presentano al pubblico Proust e Balzac, si affacci un libretto firmato da Gino & Michele …

Sembra destino che scetticismo, relativismo, pensiero debole debbano diventare vittime del disprezzo di chi non ne ha capito nulla, ma pensa di darsi un tono di personalità forte, attaccando quanti confessano di non essere in grado di mettere le brache al mondo.
Tutto scorre e oggi siamo di nuovo alle prese con religioni che vogliono spiegarci dove sta la verità e come si deve vivere. Addio alla secolarizzazione. E tuttavia il relativismo rimane nemico comune, come già aveva ampiamente dimostrato l’enciclica Fides et ratio, tutta rivolta contro il pensiero debole, contro chi, rinunciando a proporre una spiegazione metafisica del mondo, si sottrae a un confronto sulla verità e sui principi assoluti, perché non ha verità e principi assoluti.
Sono migliaia di anni che lo scetticismo, nelle varie forme che ha assunto, viene visto come la minaccia fondamentale da parte non di una, ma di tutte le metafisiche e i pensieri forti, che preferiscono scambiarsi insulti e magari cannonate piuttosto che ammettere che forse il problema sta proprio nel credersi detentori di una visione del mondo garantita da chissà chi.
E anche oggi ci vanno giù duro.
In un intervento dell’11 aprile 2015 nel quadro di un incontro su L’Islam oggi: dialogo o scontro?, organizzato dalla Diocesi di Roma, l’imam Yahya Pallavicini ebbe modo di proporre una analogia che definire ardita è poco:

Le degenerazioni che abbiamo visto in altri tempi storici, sembrano riemergere oggi – in maniera edulcorata, ma teologicamente molto simile – in certe forme di estremismo fanatico: lo vediamo nel processo di relativismo culturale dell’Occidente e nel confessionalismo pseudo-califfale a cui assistiamo in Oriente. Ma è proprio di fronte a queste distorsioni che il dialogo diventa, in maniera ancora più decisa, la soluzione. È fondamentale, in questa situazione, che credenti, guide spirituali, teologi e sapienti dialoghino insieme, in maniera interdisciplinare e andando a toccare i vari campi della vita civile.

Il relativismo culturale sarebbe dunque una forma di estremismo fanatico e, in quanto tale, accostabile al confessionalismo pseudo-califfale che sta insanguinando i nostri giorni. Mai avrei pensato di essere un fiancheggiatore dell’Isis, ma pazienza. Non avrei detto niente, per non fare la figura dell’anti-islamico e dell’anti-dialogo, se non fosse che proprio in questi giorni arriva una bordata davvero terribile anche da parte cattolica.
Nella sua recentissima enciclica, papa Francesco scrive pagine anche molto belle, cercando di mostrare come tutto si collega nelle vicende del nostro mondo, per cui il discorso ambientalista assume senso solo se non si separa il destino dell’uomo da quello della natura e si coniugano insieme questione ambientale e questione sociale. Sembra un approccio molto laico e rivolto a tutti gli esseri ragionevoli, anche se il papa è naturalmente convinto – e va bene – che il discorso possa trovare un fondamento negli insegnamenti del cristianesimo, e di Francesco d’Assisi in particolare. Niente da eccepire.
Ma ecco che ricompare il tremendo nemico. Non volevo credere ai miei occhi, quando sono arrivato al pragrafo 123:

La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili. Se non ci sono verità oggettive né princìpi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? È la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o princìpi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare.

Che triste visione dell’uomo quella che immagina che senza verità oggettive e principi assoluti si apre la strada alla schiavitù, alla pedofilia, al disprezzo degli anziani, alla tratta degli esseri umani, alla criminalità organizzata, al narcotraffico, al commercio di diamanti insanguinati ecc.
Da rimanere senza parole. Già ero rimasto male dall’essere accostato all’Isis, ma essere considerato un potenziale pedofilo o narcotrafficante mi offende profondamente. Non credo in verità assolute ma non ho nessuna intenzione di andare davanti alle scuole elementari per sedurre bambine dodicenni che, per altro, in altri periodi storici, a quell’età potevano persino sposarsi, e forse lo possono ancora in altre aree geografiche (ah, maledetto relativismo!).
Santità, eminenze, imam, emiri, cardinali, vescovi, califfi e sapienti vari, cerco di capire il vostro punto di vista, proprio perché mi ispiro al relativismo culturale, e quindi non sono mai sicuro di avere ragione, però – come diceva Totò – ogni limite ha una pazienza.
La domanda è: ma chi vi credete di essere!? Come vi permettete di offendere e dire tante sciocchezze!? Certo, credete di possedere la verità, e allora vi devo dire la mia verità: mi fate davvero ridere.
Anche i relativisti – come le formiche – nel loro piccolo, a volte s’incazzano.

  1. Mai fui papista e men che mai fan di questo papa (preferivo l’altro), ma credo che nel passo citato sia nascosta una chiave d’interpretazione della vexata quaestio. Il relativismo è l’estremo approdo della critica al giusnaturalismo cominciata nel giusnaturalismo stesso. È sulle supposte leggi di natura che si fondano i dogmi, non il contrario. Naturalmente, decretare di conseguenza che le nostre leggi e i nostri costumi erano un rispecchiamento della natura fu un trucco sporco e interessato. Ci andava posto rimedio, sono d’accordo. A questo punto era più comodo pensare ut natura non daretur. Ridotta a serie di fenomeni, culminanti nella morte, più o meno razionalizzabili, ci fa molta meno paura di quanta ne abbia fatta ai nostri nonni delle caverne, anche se si ostina a impartire lezioni formidabili. Questa era la premessa indispensabile per realizzare il sogno kantiano dell’uscita dell’uomo dalla minorità. Siamo, infatti, tutti maggiorenni e tutti padroni di noi stessi. Questo si chiama individualismo e il relativismo si presta come sua filosofia prêt-à-porter, indossabile anche dalla casalinga di Voghera.
    Se non che, tardiva ripresa teogonica, dalle spoglie della Natura si è materializzato il Mercato, che della madre ha la forza e le velleità di imporre verità e leggi indubitabili.
    Alle prese col mercato naturalizzato, l’individualità si volge in solitudine e il sogno di essere sovrani padroni di se stessi si infrange contro la constatazione di essere, ancora una volta, inermi canne al vento.
    Istintivamente, come chi abbia perduto qualcosa lungo la via, l’uomo si volge indietro.

  2. Sembra che sia venuto il tempo di aggiornare una famosa battuta bolognese. All’accusa Omosessuale [eufemismo] e ladro!, il malcapitato rispose Lèder po’ no! [Ladro poi no!]. Se ci diranno Relativista e lenone [ecc., ecc.], risponderemo con orgoglio Lenone [ecc., ecc.] poi no!.
    Nei tempi lontani in cui frequentavo la scuola media, i ragazzi inseguivano il carrettino del gelataio infamandolo come omosessuale e lui rispondeva imperturbabile Gelati lo stesso!. E se ci daranno del relativista anche noi risponderemo memori Gelati lo stesso!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *