MEDIAPOL

Alberto Ferrigolo

Giornalista

Rai alla prova del nove

Difficile dire la scelta del Governo sulla Rai sia quella giusta per un’industria culturale com’è quella della radio e della televisione pubblica. Non che anche la Banca d’Italia non faccia e abbia una cultura. La cultura del denaro. Da questo punto di vista, forse, per la Rai era l’unica scelta possibile. Così almeno si saprà la verità sui suoi bilanci e a quanto ammonta il “buco”. Ma dal punto di vista dei programmi, delle scelte culturali, dei palinsesti, della fiction, del cinema di cosa e come finanziare, qualche dubbio resta. Di tv bisogna saperne per dirigerla. E non basta saper far di conto, anche se è importante. In ogni campo, del resto.

Tra Saxa Rubra, via Asiago e viale Mazzini ci si lamenta per il ritorno ai “professori”. Ma quelli che governarono nella stagione del ’93, poi cacciati dall’arrivo di Berlusconi, non fu una stagione poi così male. Anche il “buco” di bilancio di allora venne risanato e si arrivò persino ad un attivo che durò anche negli anni a venire fino allo spolpamento successivo. Anche i “professori” di allora cercarono di avviare un disboscamento degli interessi corporativi, un rinnovamento, puntarono molto sulle professionalità interne. Certo accontentando i prescelti e scontentando gli esclusi. Ma le scelte sono anche questo, se fatte in autonomia. Decidere significa anche tagliare.

Ma la “piovra” dei partiti ebbe ancora la meglio. Tantopiù che, all’epoca, aveva il sostegno del Partito del conflitto di interessi. Forse questa sulla Rai è la vera prova per vedere se quel partito esiste ancora e ha potere. Di vita e di morte. Non solo sulla Rai ma anche sul Governo.

O se sulla Rai il Partito del conflitto di interessi chiuda invece un occhio, preferendo spostare il suo obiettivo sulla Giustizia

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