THE VISIONNAIRE

Francesco Grillo

Francesco è Amministratore Delegato di Vision and Value, società di consulenza direzionale e si occupa soprattutto di valutazione di politiche pubbliche per organizzazioni internazionali. E' direttore del think tank Vision, con cui gestisce diversi progetti dedicati a "le università del futuro", "big society", "la famiglia del futuro" ed in generale all'impatto della rivoluzione delle tecnologie dell'informazione sulla società e sull'economia. In precedenza ha lavorato per la Bank of Tokyo e con McKinsey. Laureato in economia alla LUISS, ha completato un MBA alla Boston University e un PhD presso la London School of Economics con una tesi sull'efficacia della spesa pubblica in ricerca (http://www.visionwebsite.eu/vision/staff_cv.php?cv=1) . E' editorialista de Il Mattino e de Il Messaggero ed è autore di diversi libri sull'impatto di Internet sulla sanità (Il ritorno della rete, Fazi, 2003), sull'automobile (La Macchina che cambiò il Mondo, Fazi, 2005), sui media (Il Sonno della Ragione, Marsilio, 2007).

Quello che manca al paese più bello del mondo

È vero che l’Italia è il Paese più bello del mondo, ma a condannarci è stata l’illusione che questa eccezionalità potesse esimerci dal duro lavoro che viene richiesto a qualsiasi nazione che voglia crescere e uscire dalle crisi.  Ed è vero che, come ha scritto Romano Prodi ieri da queste colonne, un rilancio del turismo vale almeno due punti percentuali di Prodotto Interno Lordo e mezzo milione di posti di lavoro in più:il settore è il primo a dover essere considerato strategico, visto che da sole queste cifre valgono il doppio dell’anemica ripresina stimata dal Governo Letta per il 2014.

Ma allora la domanda vera è: come mai se nessuno – da anni – pone minimamente in dubbio che è sul turismo e sulla cultura che abbiamo molte delle nostre maggiori opportunità, niente nel frattempo accade, mentre l’Italia perde posizioni (solo quindici anni fa eravamo la prima potenza turistica mondiale e tra qualche mese saremo, invece, al sesto posto) e i siti archeologici più famosi del mondo sprofondano nello “sfacelo” che tanto affascinava Goethe duecento anni fa?

L’analisi del Professore e lo stesso piano strategico presentato dalla Presidenza del Consiglio nel gennaio di quest’anno fanno, in effetti, un errore e dimenticano due questioni fondamentali.

L’errore è quello di premettere a qualsiasi azione di cambiamento una modifica della Costituzione: questa è la vera polpetta avvelenata che, in tanti ambiti diversi, ci ha impedito persino di partire.

Fu, indubbiamente, sbagliato sancire con il Titolo V che il Turismo è competenza esclusiva delle Regioni. Non meno errato, però, sarebbe oggi aspettare che le competenze siano trasferite di nuovo allo Stato per mettere mano al lavoro che c’è da fare. Innanzitutto perché una modifica del testo sarebbe costosissima in termini politici e, dunque, di tempo, vista l’ovvia opposizione che le Regioni hanno già manifestato. In secondo luogo, perché l’idea di fare politica economica attraverso le Leggi trascura il dettaglio che il mondo è assai vario: ci sono Regioni – come il Molise o la Basilicata – alle quali – per dimensioni, notorietà e competenze insufficienti – un’aggregazione conviene; altre – come il Veneto o la Toscana – che hanno già oggi, secondo EUROSTAT, un numero di turisti internazionali per abitante che è superiore a quello della Comunità autonoma di Madrid o della Catalogna.

Il livello centrale, quello che molti continuano ad agitare come soluzione universale e per molte inefficienze, si è peraltro dimostrato spessonon meno inadeguato di quello locale o regionale. Non sono, forse, sotto la responsabilità diretta ed esclusiva delle sovraintendenze e quindi del Ministero, il sito di Pompei e la Reggia di Caserta, divenuti negli ultimi mesi simboli stessi della crisi? Per alcuni, anzi, è proprio il ruolo del Ministero che va ripensato. Non ha senso che uno Stato senza più soldi abbia il monopolio della gestione dei musei; lo Stato, tuttavia, dovrà continuare a garantire la tutela dei beni culturali (come gli chiede la stessa Costituzione) e a sviluppare ulteriormente alcune sue intuizioni recenti. Incoraggiare l’innovazione digitale che può dare grandi ritorni con investimenti relativamente piccoli; creare e condividere quella conoscenza sul valore e i bisogni dei specifici segmenti di clientela che nessuno in Italia sembra possedere e senza la quale qualsiasi ragionamento sul turismo rischia di essere assolutamente generico.

Del resto, l’intera discussione sulla Costituzione, perderebbe senso se – ed è la prima delle due dimenticanze dei guru del turismo – stabilissimo, una volta e per tutte, che il potere segue le competenze e che il possesso di tali competenze va dimostrato con i risultati. Può essere utile “rafforzare” le competenze dell’Ente Nazionale di promozione; ma questo argomento rischia di favorire la creazione di un nuovo carrozzone, se non stabiliamo anche obiettivi precisi (ad esempio, di “vendita” del prodotto Italia a determinati segmenti di clientela o di cittadini esclusi oggi dalla fruizione) ai quali legare le risorse destinate ogni annoall’ente, nonché la selezione o la remunerazione dei suoi dirigenti.

Lo stesso principio – di allocazione flessibile delle risorse a chi spende meglio – può essere utilizzato, del resto, non solo per aumentare l’efficienza dei pochissimi finanziamenti pubblici che abbiamo a disposizione (l’Italia spende sui beni culturali un quarto di quello che spende la Germania o la Francia), ma la capacità dei soldi dello Stato e delle Regioni di mobilitare ulteriori capitali.

Ed è questo l’altro aspetto che non può più essere dimenticato: usiamo tutte le risorse che abbiamo (poche in termini finanziari, ingenti in termini di storia e simboli) solo quando servono per attrarre ulteriori capitali. Capitali privati perché  la valorizzazione di alcuni dei marchi di notorietà mondiale ha, senz’altro, il potenziale per interessare investitori di tutto il mondo (gli stessi che garantiscono che il BritishMuseum sia aperto tutti i giorni e completamente gratuito); ma anche quelli della Commissione Europea che destina all’Italia 60 miliardi di euro di fondi strutturali e ai quali l’Italia nelle prossime settimane dovrà associare progetti in grado di fare innovazione su nostri vantaggi competitivi. L’obiettivo deve essere quello di aggregare una vera e propria industria turistica che oggi manca: fatta di soggetti pubblici capaci di regolare e promuovere; e di privati sufficientemente grandi per poter competere e cooperare.

Il turismo potrebbe valere da solo la sopravvivenza di un Governo e l’uscita dalla crisi. Ma anche questa occasione, come tante altre, ha bisogno della consapevolezza da parte nostra che la “grande bellezza” non è sufficiente per stare al centro del mondo: è necessario anche il pragmatismo che Paesi – belli quasi quanto il nostro, ma decisamente più normali – usano per cogliere anche la più piccola opportunità che hanno a disposizione.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 13 Novembre

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *