Quando – come osserva il saggio – ci si accorge che cresce in modo preoccupante il numero degli anziani tra i nostri coetanei, bisogna stare attenti a come si convive con la propria memoria. A volte un suono, una voce, un ritmo fa sentire quel prurito nel naso che, se non controllato, potrebbe trasformarsi in una lacrima; e non c’è neppure bisogno di esserne coscienti, il naso prude ugualmente. Ci accorgiamo solo dopo di che cosa sia successo, perché quella sensazione invita a fermarsi un momento e cercare di capire che cosa abbia riportato alla mente:
… una impressione dell’anima non ancora cancellata ritorna al pensiero nel presentarsi di impressioni simili. E questo è ciò che si dice ricordo. Si riproducono così o soltanto nel pensiero o anche nel gesto ritmi che sono stati prodotti precedentemente. Da ciò si conosce che essi non vengono per la prima volta ma tornano al pensiero perché, mentre venivano affidati alla memoria, erano richiamati con difficoltà e si aveva anche bisogno di qualche raffigurazione per fissarli. Eliminata questa difficoltà, quando essi stessi in forma adatta si presentano alla volontà di seguito nella loro successione temporale, noi avvertiamo con tale prontezza che non sono nuovi, sicché quelli fissati più fortemente, anche se noi pensiamo ad altro, si riproducono quasi da soli. (Agostino, De musica 6.8.22)
Ma proprio perché il fenomeno con il tempo tende a ripetersi sempre più frequentemente, è opportuno stare in guardia, cercare di evitare di diventare come lo sdentato vecchietto dei film western che ricorda in continuazione i suoi scontri con gli Apaches. Per questo non volevo parlarne e sono stato contento di essere fuori città lo scorso 29 agosto, quando in Conservatorio si svolgeva un concerto cui avrei fatto enorme fatica a non assistere, con adeguata scorta di fazzoletti di carta. Ho anche evitato di cercare le registrazioni su You tube – e ci sono – per non coltivare quel sottile piacere provocato dai ricordi lontani che fanno stare male.
Ma il destino ha colpito ugualmente e ho verificato che davvero talune impressioni, anche se noi pensiamo ad altro, si riproducono da sole. Qualcuno – un coetaneo? – ieri sera fischiettava per strada un motivetto che non ho riconosciuto subito, ma il naso ha manifestato un vago prurito; me ne sono chiesto il motivo e ci ho messo un po’ per farmi tornare alla mente di che cosa si trattasse. Un motivo sudamericano che avevo suonicchiato con il flauto quarant’anni fa, era La festa di san Benito. E allora il fiume della memoria è uscito dagli argini: il Cile, il colpo di stato, gli Inti Illimani; ho passato ore a guardare le registrazioni del concerto del 29 agosto e ho utilizzato molti fazzoletti.
Sono passati quarant’anni da quell’11 settembre 1973 – e c’è stato un altro terribile 11 settembre – ma non c’è niente da fare, El pueblo unido jamás será vencido e Venceremos continuano a risuonare nella memoria; da qualche parte, nel mio cuore, l’immagine di Salvador Allende con l’elmetto, sotto le bombe, rimarrà per sempre.
Per Proust, come per Bergson, noi possediamo tutti i nostri ricordi, ma non la facoltà di richiamarli alla memoria: c’est peine perdue que nous cherchions à l’évoquer, (notre passé), tous les efforts de notre intelligence sont inutiles. Il est caché hors de son domaine et de sa portée … La meilleure part de notre mémoire est hors de nous, dans un soufflé pluvieux, dans l’odeur de renfermé d’une chambre ou dans l’odeur d’une premiére flambée …
La memoria volontaria non puo’ ricreare il passato. Solo quando il miracolo della analogia, per una identità di sensazioni, comuni al passato e al presente, si compie, solo allora la memoria involontaria, la reminiscenza, ci riporta il passato nella sua interezza, lo redime. Un passato non ricreabile dal pensiero. Nel momento magico della reminiscenza il passato non soltanto si ri-produce ma, dice Proust, si produce ex novo, perché la reminiscenza trascina con sé anche tutto ciò che è stato negato, taciuto, rimosso, represso per l’anacronismo tra il tempo degli eventi ed il tempo dei sentimenti.
Trovare commenti di attualità legati a Sant’Agostino non solo illumina l’attualità ma fa anche scoprire che i testi agostiniani sono sempre come vasi non solo pieni, ma eccedenti, con un più di significati e per questo attuali. Grazie, professore!