IL SOTTOSCRITTO

Gianni Bonina

Giornalista e scrittore. Vive a Modica. Ha pubblicato saggi di critica letteraria, romanzi, inchieste giornalistiche e reportage. È anche autore teatrale. Ha un blog all'indirizzo giannibonina.blogspot.com

Processo non a Salvini ma a un ordinamento

Matteo Salvini ha molto da farsi perdonare – soprattutto dai meridionali, la polemica contro i quali ha segnato l’ascesa della Lega Nord, oggi paramentata in un altro abito di cangiante colore e fattura. Ha da farsi perdonare un uso del potere che molto assomiglia a quello dittatoriale, una gestione del suo partito a via di purghe nonché delle casse di esso con mano del tutto spregiudicata. Ha da farsi perdonare l’ostentazione ipocrita di una immagine personale fatta di esibizioni di oggetti sacri che non è palesemente quella sua propria, di un modo di fare improntato alla mistificazione e all’imbonimento, di un culto della personalità che evoca ben altri personaggi non molto dissimili negli atteggiamenti e nelle intraprese.
Detto questo, va però precisato che del suo modo di fare politica deve dare conto ai suoi elettori e agli italiani disponibili a diventarlo e solo ad essi, sia che si trovi nell’esercizio di poteri istituzionali che lavori per tornare a esserlo. Di conseguenza la sua condotta non può che venire  valutata nell’ambito della dialettica politica e sul crisma dei principi democratici per i quali il peggiore tiranno che assuma il governo con i mezzi previsti dalla Costituzione e dalle leggi positive è legittimamente investito del potere che detiene proprio perché voluto dalla maggioranza dei cittadini. In questa chiave qualunque sua iniziativa, appunto fondata su un mandato popolare, è giustificata e condivisa, quindi legale. In tale senso vanno dopotutto viste le decisioni prese dai vari governi riguardo alle missioni militari in Paesi stranieri in guerra che molti elettori e quindi anche molti magistrati potrebbero ben ritenere ingiuste e illegali perché non conformi al dettato costituzionale che non prevede nessuna iniziativa di guerra offensiva all’estero o in teatri di guerra.
Nondimeno Salvini sarà processato per avere preso come ministro degli Interni decisioni unilaterali che avrebbero determinato violazioni del Codice penale sicché il Parlamento ha concesso l’autorizzazione a procedere argomentando che non fu il Consiglio dei ministri a sequestrare gli immigrati sulla Gregoretti ma uno solo dei suoi ministri. Questo porta a supporre che il sequestro di stranieri che vogliano entrare in Italia è legale se voluto da tutto il governo ma diventa illegale se disposto dal ministro peraltro responsabile dell’ordine pubblico e dei flussi migratori.
Ora, pur ammettendo che Salvini abbia deciso da solo, visto che il presidente del Consiglio ha compiti di indirizzo e di controllo sulle azioni di ogni ministero, è da chiedersi se Salvini avrebbe mai potuto muoversi autonomamente se a Palazzo Chigi ci fosse stato un premier diverso da Conte, un premier che fosse stato contrario e quindi nel pieno diritto di fermare il Viminale. Certamente no, per cui si è avuto che la maggioranza che ha mandato Salvini davanti al tribunale di Catania ha certificato la debolezza del presidente del Consiglio che presiede il governo da essa sostenuto. Un Bettino Craxi (quello magari che sfidò da solo gli americani a Sigonella) o un Andreotti nel pieno del suo potere di presidente del Consiglio avrebbero mai lasciato che il ministro degli Interni agisse a loro insaputa o peggio contro la loro volontà?
Salvini, attestandosi a un rango di maggiore personalità, ha tuttavia preso decisioni che però nemmeno lontanamente hanno riguardato la sua sfera di interessi in particolare economici, caso nel quale l’incriminazione sarebbe stata sacrosanta, ma ha agito nell’interesse del Paese nel quale si riconosce la maggioranza degli italiani che ha voluto il Parlamento in carica e il governo da esso espresso. Se ha fatto male, risponderà agli italiani, ma certamente non può dare conto a un magistrato che nel momento in cui sindaca le ragioni dei suoi decreti smette la toga e indossa il laticlavio perché fa inevitabilmente politica, ovvero valuta e censura iniziative governative di carattere politico. La magistratura infatti non giudica l’operato di Salvini ma del ministro, cosa che realizzandosi mette fine alla separazione dei poteri e introduce una nuova figura nel processo di formazione delle leggi e della determinazione dell’azione di governo o ministeriale, una figura che quelle leggi deve solo applicare e che alla volontà del governo è sottomessa come ogni cittadino.
In un altro caso, oltre quello dell’interesse economico personale, il magistrato può sentirsi in dovere di inquisire un ministro: quando esso opera per fini, anch’essi personali, ispirati a odio o rancore. Ma quanto a Salvini, non si ricordano episodi in cui abbia manifestato (se si escluse il caso del citofono da imputare al suo carattere guasconesco e naif) segni di una profonda avversione contro gli immigrati che non sia la stessa portata contro mafia o camorra, mali questi assimilati all’immigrazione clandestina vista anch’essa come un pericolo perché sancita come reato.
Ma ammesso e non concesso che siano questi i sentimenti che nutrono Salvini, perché nessuna Procura ha mai indagato decisioni ben più abbiette quali sono le dichiarazioni di guerra? Perché per esempio la decisione di Mussolini, quella senz’altro unilaterale, di dichiarare guerra all’Inghilterra e alla Francia su motivazioni certamente ingiuste, false, personalistiche, non fu contestata da alcun magistrato? Forse perché il Duce riscosse il massimo plauso dalle folle oceaniche? E allora, dal momento che secondo i sondaggi la gran parte degli italiani approvano la conduzione del Viminale sotto Salvini, la magistratura si trova in sostanza a muoversi contro la volontà popolare ma nell’obbligo supposto dell’azione penale, argomentando che ricorrano precise fattispecie di reato. E sia: ma in cosa è diverso il caso in cui il ministro della Sanità, come sta succedendo quanto ai cinesi in arrivo in Italia, disponga la quarantena di persone sospette di essere contaminate da un virus? La sicurezza della salute pubblica nazionale è forse prevalente sulla sicurezza dell’ordine pubblico nazionale? Non si tratta in entrambi i casi di persone straniere che vengono tenute come sequestrate e sono perciò impedite di muoversi liberamente per un dato periodo di tempo?
Ma c’è un altro aspetto che va valutato in ordine all’inchiesta su Salvini. Dopo il sì del Parlamento al processo è stata surrettiziamente introdotta una responsabilità ministeriale di pari grado a quella civile per la quale un medico risponde giudizialmente del proprio operato. Se quindi un ministro dovrà temere che le proprie determinazioni potranno essere soggette al giudizio di un magistrato preferirà tenere un profilo molto basso e conformarsi allo spirito collegiale del governo, così da assumersi una responsabilità congiunta, ben sapendo tuttavia che la poliedricità di un esecutivo porta sempre a decisioni di compromesso, tali che le questioni di maggiore peso siano affrontate con la minima capacità d’urto.
L’equazione è questa: un ministro costretto ad assumersi responsabilità che non siano esclusivamente politiche si riduce a essere un funzionario, mentre un ministro che accoglie la domanda dell’elettorato diventa un despota ancor più se fa parte di un governo che non sia di coalizione e nel quale la sua azione è più libera. La maggioranza parlamentare ha dunque sancito la preferenza dei governi multicolori, nei quali è più facile distinguere la responsabilità di un ministro e ricercare il carattere della volontà collegiale che molto viene meno invece in un governo monocolore e in una maggioranza parlamentare rappresentata da un solo schieramento. Tali guasti che minano la democrazia non sono alla fine un segno del tempo che, com’è per l’ambiente, vede sgretolarsi i ghiacciai del nostro ordinamento?

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