LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Primarie centro-sinistra: due auspici

Fatti

Chiunque vinca alla fine le primarie del centro sinistra dovrà mettere al centro della sua proposta temi ineludibili. Su tutti, per una forza che non ha ancora del tutto rotto con l’eredità dei valori del socialismo e del cattolicesimo popolare, il lavoro; e poi l’Europa, la costruzione di una unità politica capace di governare con una voce coerente le difficili contingenze economiche e le sfide di un ordine globale in cerca di nuovi equilibri; e ancora, in un elenco che potrebbe essere interminabile, la ricostruzione di un rapporto di fiducia con gli italiani, possibile solo a partire dall’esercizio di una moralità pubblica capace anche di educare – cosa che dovrebbe rientrare nell’orizzonte di genuine classi dirigenti – una società civile che molto spesso nei suoi rappresentanti purtroppo si specchia; o ancora, e solo per stare ai temi più sentiti e dibattuti, dovrà essere all’altezza di importanti riflessioni come quelle sui beni comuni, che negli ultimi anni promettono, nel legittimo pluralismo teorico, significative ricadute sociali e politiche, e determinano non poco della capacità di ascolto, dialogo e rappresentanza da parte di una forza politica dei movimenti che premono dal sociale. L’elenco, torno a dire, potrebbe essere ben più lungo, ma chiunque vinca le primarie del centro sinistra spero vorrà includere nella sua agenda anche altre due questioni, non come due tra le tante, ma come segno di discontinuità culturale con un passato che stenta a lasciarci, come indicazione chiara di un’idea di società non chissà quanto radicalmente alternativa, se non sullo sfondo della barbarie che ormai quotidianamente viviamo come normale.

Mi piacerebbe pensare che colui che verrà scelto a candidarsi alla guida del paese vorrà mettere nella sua agenda, non in posizione residuale o barattabile, una nuova legge sulla cittadinanza, in primis per i figli degli immigrati nati in Italia e poi per chi da tempo vive, lavora e paga le tasse nel nostro paese; e che, di pari passo, vorrà impegnarsi per condurre in porto una legge sulla libertà religiosa, capace di affrontare in modo organico, coerente e all’insegna dell’eguaglianza le molte questioni che chiamano in causa i rapporti tra confessioni religiose e società. A fronte della crisi economica che attanaglia l’Italia come l’Europa, a fronte di molte altre questioni che toccano la carne viva degli individui e delle famiglie, cittadinanza e libertà religiosa possono sembrare a molti questioni secondarie. La seconda più della prima. Uscire dalla morsa del pensiero neo-liberista, porre un argine ai neo-populismi, disegnare regole elettorali sottratte al calcolo delle convenienze particolari e di corto raggio, sembrano esigenze ben più pressanti di quanto sia garantire a un bambino figlio di immigrati e nato in Italia di poter andare in gita scolastica con i propri compagni di classe, giusto per fare un esempio, o a maggior ragione di quanto sia avere diritto ad uno spazio per il proprio culto in un ospedale, tanto per farne un altro. Ma è proprio questo il punto, il nodo di un profondo e radicale cambiamento di mentalità: anche senza arrivare a sposare le tesi dell’economia spirituale à la Latouche, pure discutibili senza taboo, è forse tempo di uscire da rigide contrapposizioni tra bisogni materiali e bisogni post-materiali, è tempo di rivedere gerarchie di diritti che riflettono visioni del mondo primo-moderne e etnocentriche, e di pensare che non ci sono diritti di serie A e diritti di serie B, che non c’è un prima e non c’è un dopo nell’apertura di spazi di libertà e pluralismo.

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