Inizierei partendo, a malincuore, dalle parole di Fini nel suo ultimo intervento alla trasmissione Ballarò. Cercava di descrivere brevemente, da esperto super partes, le “forze in campo” nelle primarie del PD riassumendole nelle loro caratteristiche sostanziali. Il primo e favorito, Bersani, rappresenta la conservazione, il vecchio, in altre parole il PD tradizionalista, mentre Renzi rappresenta il nuovo, il giovane, una sorta di innovatore o se vogliamo, più rozzamente, rottamatore. A questa sua descrizione Fassina, uno dei più ferventi sostenitori di Bersani, non nasconde l’irritazione e il dissenso. Non sia mai che lui, 46 anni, sia tacciato di questa terribile nomea e che siano invece lui e Bersani, posizionati nelle categorie non-giovani e non-innovatori.
Inizierei con il chiarire un punto fondamentale attraverso un’antistrofe o più volgarmente, una ripetizione: “giovane non vuol dire giovane!”. Certo, dirà il lettore, leggendo la frase che ho scritto subito sopra, questa non è proprio “una ripetizione, ripetizione!”. Ma in che senso? Il linguaggio è importante e la lingua è certamente un regno impervio e ricco di ambiguità, cosa che l’accomuna fortemente alla politica. La semantica del senso comune infatti indicherebbe questo sintagma come carico di una connotazione negativa (es. “hai utilizzato troppe ripetizioni!”), mentre si tratta anche di una figura retorica di ampio utilizzo in poesia e narrativa che può, a seconda della parte del discorso che viene ripetuta e del modo in cui viene ripetuta, essere indicata attraverso nomi altisonanti dalla più nobile provenienza, come l’ antistrofe, l’anafora o la dittologia.
Lo stesso è vero nel caso del termine “giovane”: il senso comune potrebbe attribuirgli un significato genericamente anagrafico che, ad essere del tutto onesti, in Italia non ha sempre una connotazione positiva. Si può accoppiare molto spesso con “inesperto” o “ingenuo”. Ma, tralasciando questo punto, è bene chiarire che giovane può essere inteso – e quello era il senso di Fini – in un’accezione più ampia; come direbbero gli americani, “Not in a narrow sense”. Così inteso, esso implica una serie di nozioni più complesse ad esso relative. Giovane non vuol dire giovane solo anagraficamente: pur contenendo anche il significato puramente quantitativo, esso include pure una nozione puramente qualitativa. Ma cerchiamo di chiarire meglio il punto, che ha dato vita a parecchie incomprensioni.
Le parole e i concetti nella nostra mente vengono computati attraverso delle strutture dette “frame”, una sorta di campo di nozioni che viene evocato automaticamente alla presenza di un determinato termine. Pensiamo ad esempio alla parola “compratore”: quando utilizzo questa parola, la mente dell’ascoltatore attiverà direttamente altre nozioni collegate, ad esempio “venditore”, “bene”, “denaro” etc. I frames sono strutture categoriali che risultano organizzate non linearmente ma prototipicamente. Il che vuol dire che quando diciamo “giovane” richiamiamo alla mente principalmente “un’idea di giovane” ed in particolare il giovane prototipico – quello che, sulla carta d’identità, alla dicitura “età” ha scritto un numero non troppo alto. Questo stesso tipo di “giovane” può avere determinate caratteristiche, che porta con sé. A me ne vengono in mente alcune: giovane è chi ha delle idee innovative, chi guarda il mondo con un certo slancio verso il futuro, chi vuole il cambiamento, chi crede in degli ideali, chi si appassiona, spesso anche troppo, alle cose, chi sbaglia, chi vorrebbe tutto e subito perché è impaziente di avere il suo ruolo nel mondo; giovane è chi, spesso, può essere giudicato presuntuoso o arrogante da chi lo giudica troppo rigidamente.
La battaglia linguistica, però, per citare un appassionante testo sulla guerra ideologica tra Chomsky e un gruppo di allievi che volevano rivoluzionare la Linguistica Cognitiva, scoprendo, tra l’altro la nozione di frame, si sta giocando soprattutto su questo fronte, come era d’aspettarsi. Fini ha perfettamente ragione: in effetti, si tratta di “giovane”, “fresco”, “innovativo” contro “maturo”, “esperto”, “solido”. E questi sono gli elementi su cui dobbiamo ragionare e forse sono gli elementi che in Italia piacciono poco e che in vista delle primarie di Domenica mi preoccupano di più.
L’altro giorno una ragazza anche più giovane di me, chi scrive ha 27 anni, mi ha confessato, “io voto Bersani, mi dà sicurezza.. sta lì da tanto tempo”. Devo dire che la cosa mi ha lasciato perplesso ed infatti ho risposto: “Sei convinta che sia un buon modo di pensare? e se ragionassero così quando tu andrai a fare un colloquio di lavoro? Saresti contenta?”. Il punto che mi stupisce maggiormente infatti è proprio questo: ci piacerebbe davvero vivere in un paese in cui la motivazione per dare un voto a un candidato è solo la serietà derivata dall’esperienza? Rispetto alle capacità, all’intraprendenza, alla visione verso il futuro? Ci piacerebbe partecipare ad un concorso e vedere vincere qualcuno solo perché è più anziano o aspetta da più tempo di noi? Io personalmente credo che questa logica sia una delle cause di degenerazone del nostro Paese e che si rifletta in una delle retoriche più false e tendenziose della politica italiana: “la retorica sui giovani”.
Io ricordo sempre, con un po’ di dispiacere, una delle settimane più belle della politica grigia di questi ultimissimi anni. Debora Serracchiani, esponente del PD, acquisì una forte ed immediata notorietà perché ad una convention del Partito Democratico il 29 marzo 2009 fece un discorso talmente critico e sentito sul futuro del partito che ebbe risonanza anche all’esterno di quel palazzo e sulle onde di quella vibrazione venne ospitata in decine di trasmissioni televisive in pochi giorni. Erano le ultime primarie del PD vinte da Bersani. Debora Serracchiani avvocato specializzato in diritto del lavoro, una valida carriera politica alle spalle, 42 anni oggi, al tempo 39, aveva un profilo facebook che stava letteralmente esplodendo e veniva ospitata a tutte le più importanti trasmissioni nazionali, facendo sempre una egregia figura di fronte a politici più esperti e navigati di lei. Aveva possibilità di essere eletta alle primarie? Certamente si. Decide di appoggiare invece Franceschini (il risultato delle primarie lo sappiamo). Ma perché una giovane donna, in gamba, intelligente, con il giusto carattere per rispondere a tono ai suoi interlocutori e che forse rappresentava proprio quello che tutti volevano, non si è candidata? Perché non si poteva fare, perché doveva seguire il percorso che “le era stato tracciato”.
In Italia, infatti, le cose non vanno nel modo che può sembrare più logico o lineare, non c’è un rapporto diretto tra capacità, preparazione, curriculum e posto di lavoro, ma c’è “un percorso”, “un tempo” e “un luogo” per ottenere determinate cose. Qualcuno l’ha chiamata la “logica della fila”. Credo sia una metafora che funziona bene. In qualsiasi ambito lavorativo, un giovane o anche vecchio anagraficamente, si trova di fronte a sé una fila di persone che sono lì perché stanno aspettando da più tempo. Il momento comico, o forse un po’ grottesco, tipico di ogni fila letterale, è l’espressione assunta da chi, dopo la corsa fatta per arrivare, si trova di fronte la coda in attesa. Il rampante podista abbandona ben presto l’espressione trepidante e adotta uno sguardo attonito che presto muta nel dispiacere tra gli sguardi ironici degli astanti. Poi, col passare dei minuti in fila, il podista volenteroso si fa più neutro e annoiato fino ad assumere una espressione di chiara rinuncia e di abbandono. È proprio questo che capita ai giovani nel mondo del lavoro in Italia: in attesa di una posizione che sarebbero in grado di ottenere e per la quale hanno lavorato tanto, spesso sono costretti a dover attendere, non il giusto tempo necessario per acquisire esperienza e competenze, ma un tempo indefinito lungo quanto la fila dei “clienti” che si trovano di fronte. E questo è un po’ il senso, forse, dello slogan molto azzeccato di Renzi: adesso.
Stefano Di Pietro.
Caro Stefano, al primo turno – secondo un’analisi convincente di Boeri – Bersani è stato più votato non da chi è più di sinistra o dall’apparato, ma da chi è più povero. A volte contano ancora le idee, i programmi ed il censo, al di là dell’età. D’altra parte, lo sai bene, Socrate era molto più vecchio di Fedro, ma sull’amore diceva cose molto più moderne e vitali.
Caro Luciano, grazie del commento. L’analisi di Boeri, che prende in conto il “reddito medio pro-capite all’interno delle province”, certamente non risolve la faccenda ma è (solo) un’analisi statistica molto utile. Ne servirebbero certamente altre per trarre conclusioni importanti. Possiamo fare lo stesso studio per età e vedremo una percentuale diversa. Per livello di scolarizzazione, purtroppo in Italia sempre legato anche ad un livello economico e vedremo un altro risultato. Le idee diverse sono tante, troppe per discuterle in questa sede, soprattutto in una breve risposta al tuo interessante commento. Spero troveremo il luogo per farlo. Per ora ti saluto dicendo che l’abolizione dei vitalizi, il dimezzamento del numero dei parlamentari, la trasparenza totale della spesa, la chiusura verso l’UDC, la proposta del forum internazionale della legalità e più in generale l’idea di ricambio delle gerarchie al potere da trent’anni, sono idee, anche semplici se vogliamo, che mi rappresentano. Il grande sottotesto di questo articolo è: quello che accade in politica è un evento comunicativo e performativo di portata enorme. Un presidente del consiglio di 37 anni “comunica” che c’è la possibilità di arrivare all’apice per le proprie doti e per le proprie idee anche “nel mezzo del cammin della vita”. Allo stesso modo di Berlusconi che, come ha detto l’on Tronti in un suo bellissimo intervento recente, con la sua stessa esistenza in una posizione di potere legittima l’illegalità e la mediocrità e per questo ottiene una parte dei suoi voti; io vorrei un leader che legittima la speranza dei giovani di poter arrivare all’apice per le loro doti nel pieno delle loro forze, che cerca di comunicare la speranza nel futuro, che sfida la leadership dei più anziani, con rispetto ma non con sudditanza acritica. Questo messaggio fortissimo, che lui come uomo “rappresentava ” poteva generare il cambiamento anche solo per la sua portata comunicativa in sé, invece, come pensavo, non è successo.
mmmh vecchio qutano? io ricordo quelli usb di un paio di anni fa, meglio l’uncinetto di sicuro.Per il portatile una mamma col sangue freddo che hai tu potrebbe provare (previo backup et danza della fortuna) ntfsresize.
bello bellissimo articolo! !!
da inviare a tutti
e diciamo anche che oggi molti giovani non si “innamorano” piu’ della politica proprio perche’ non hanno spazio non sono presi in considerazione non sono ascoltati. di conseguenza facile che abbandonano il campo. quindi attenzione. invece arriva un renzi che li entusiasma un po’ e questi che fanno? lo vogliono bloccare adesso?
“giovane” e’ anche Fiorito, giovane e’ il “trota”, ahime’! L’ eta’ anagrafica non e’ una garanzia di innovativita’ positiva. Istintivamente non riesco a fidarmi di Renzi. Lo percepisco arrogante e non condivido alcune sue posizioni quali quelle sulla riforma Fornero, splendido esempio di iniquita’, ne’ quella sul finanziamento pubblico dei partiti, che va certamente ridotto moltissimo e controllato l’utilizzo, ma non eliminato del tutto. Vogliamo far si’ che possa far politica solo chi ha finanziamenti milionari alle spalle? Forse lui li ha? E quale sara’ la contropartita che chideranno i suoi finanziatori?
Gentile Patrizia, quello che hai sollevato tu è uno dei problemi centrali dell’elettorato di oggi ma anche di ieri. Grazie per le domande puntuali e stimolanti. Drew Westen uno psicologo clinico americano che si è occupato molto di politica, indica proprio “la fiducia” come primo elemento di valutazione per la scelta del candidato. Ovvero la prima domanda che ci si pone è: “mi posso fidare di lui?”. Nel caso di Renzi non è facile, per una serie di motivi, intanto è un po’ antipatico e molto furbo; ma un motivo altrettanto importante è, mi permetto di fare illazioni sulla tua “mente inconscia”, proprio il fatto che sia “nuovo”, anche se certamente non l’unico. La mia riflessione, anche per necessità editoriali, voleva mettere in evidenza solo un punto principale. Non ci raccontiamo che siamo contenti di Bersani. Adesso che c’è l’alternativa, il Bersani che annoiava tutti con il suo immobilismo è diventato “il politico serio e solido a cui affidarsi”. Ma cosa ha fatto fino ad ora? Io direi che abbiamo tutti un’idea abbastanza chiara di cosa accadrà con Bersani, ma probabilmente lo stesso non è vero per Renzi. Io direi, forse anche perchè sono giovane, vediamo cosa succede, rischiamo, perchè quello che già abbiamo lo conosciamo e non ci piace così tanto.
E allora, che sia “adesso”!
Beh cara Laura, speriamo! Purtroppo la vedo molto difficile, finirà che Renzi prenderà un 40% e acquisirà maggior credito nel partito ma non andrà a governare. D’altronde nessuno , a meno che non sia “più uguale degli altri”, può saltare “la fila”.