Ho cercato a lungo in rete, sui siti dei giornali, sui blog che si occupano di politica, tra le frasi che spesso si trovano sparse qua e là nel vasto mare virtuale. Però non sono riuscito a trovare la trascrizione di una dichiarazione che ho sentito in una intervista trasmessa dal giornale radio. Volevo trovare una testimonianza scritta perché si tratta di un concetto molto interessante che si inserisce nella grande tradizione italica di audaci frasi coniate dagli uomini politici di oggi e di ieri.
Forse la madre di tutte le immagini politichesi è quella famosa delle convergenze parallele coniata da Aldo Moro in un congresso del 1959 per indicare il possibile convergere della Democrazia Cristiana e delle forze della sinistra, che però non avrebbe dovuto significare una rinuncia a tutti gli elementi che differenziavano i due schieramenti politici.
Si possono ricordare anche i governi balneari, il compromesso storico, il partito di lotta e di governo, il partito del predellino, il ribaltone, fino all’inarrivabile sentenza andreottiana secondo cui il potere logora chi non ce l’ha. C’è sempre qualche elemento insostenibile dal punto di vista logico, ma assolutamente eloquente da quello retorico: ossimori, antitesi, metafore, contraddizioni. Spesso abbiamo fatto dello spirito a buon mercato su queste espressioni, quasi pretendessimo sempre deduzioni da principi evidenti per sostenere le ipotesi politiche più disparate. Era un errore: le figure retoriche sono spesso più ricche di significato di mille sillogismi inconcludenti e ancora oggi risulta del tutto chiaro che cosa volesse dire Moro con le convergenze parallele.
Non solo; una metafora o un ossimoro, quando si presentano come comprensibili e significativi, dicono anche più del semplice significato dell’espressione linguistica; dicono che in quel contesto, in quelle circostanze, una determinata espressione è ritenuta significativa e dunque illustrano soprattutto quel contesto e quelle circostanze. Le convergenze parallele danno comunque l’idea di movimento e sono comprensibili in una società che, nel bene o nel male, si sta muovendo, si sta trasformando e richiede dunque passaggi politici anche coraggiosi; il compromesso storico dà comunque l’idea di un momento molto significativo in cui ci si sente costretti a rinunciare a qualcosa per non rischiare di perdere tutto alzando troppo la posta in gioco ed è comprensibile in un popolo mondiale di sinistra attonito di fronte al bombardamento del palazzo presidenziale cileno e alla foto del presidente Allende che va incontro alla morte con l’elmetto in testa.
La frase di cui cercavo testimonianza scritta è stata pronunciata dal bersaniano Gotor a proposito del tentativo di trovare un accordo interno al PD rispetto alla riforma del Senato. I senatori non saranno eletti direttamente, in quanto senatori, perché saranno membri delle assemblee regionali, però non saranno indicati dai partiti ma dagli elettori al momento delle elezioni regionali. O almeno così mi sembra di aver capito,
Del merito della questione credo si capisca davvero poco. Si è capito che è diventata il motivo di un duro braccio di ferro tra maggioranza e minoranza del PD, e ora pare che con quest’ultima trovata la rottura si possa ricomporre. Ma colpisce l’espressione usata da Gotor che, in quanto membro della minoranza, deve segnalare la propria vittoria, grazie alla designazione da parte degli elettori, ma anche il fatto che la maggioranza ha mantenuto il proprio punto, in quanto le assemblee regionali mantengono il potere di prendere atto.
È questo che colpisce: che oggi possa sembrare dotata di significato la definizione del prendere atto in termini di potere. Si potrebbero citare memorabili dibattiti sul problema del libero arbitrio o sulla definizione di libertà come possibilità di aderire al bene e non di scegliere tra bene e male. In una società segnata fortemente dal pensiero religioso, come la nostra era fino a pochi secoli o decenni fa, si comprende che, posto in Dio il fondamento del bene, non sia libertà poter scegliere il male. Ma nella società di oggi qual è il fondamento per cui prendere atto di qualcosa possa essere definito potere? Se non è prevista la possibilità di non prendere atto, che potere è?
Allora dovremmo anche ammettere di avere il potere di prendere atto della forza di gravità, del sorgere del sole e di altre cose simili. Che cosa si intenda dire nel contesto del dibattito politico è chiaro, ma rimane il problema del motivo per cui oggi un’espressione del genere possa essere ritenuta utilizzabile e comprensibile.
L'ASINO DI BURIDANO