Alla fine ce l’ho fatta ho trovato qualche ora in questi giorni e ho letto Morti di fama di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini. Un volumetto nel quale sono condensate molte delle questioni che frullano in testa a chi guarda con un occhio interessato a quel che capita sul web, nel web e “per colpa” del web.
Nel libro i due autori resecontano con cura tutte le sfaccettature di una stagione in cui la ricerca compulsiva della notorietà tramite social network spazia dalla cerchia degli amichetti alle praterie del business, dalle scuole medie agli adolescenti di ritorno.
Nel libro c’è il racconto dell’altra faccia della disintermediazione, la faccia oscura del sogno che “uno vale uno” e “che ci sono, ci sei, ci siamo e dunque: possiamo!”. Certo, l’iperdemocrazia del web è – almeno per ora – più che altro un bluff retorico al quale hanno abboccato i media traducendo la novità in rivoluzione. Eppure il miraggio di farsi vedere, quindi di avere successo e quindi far soldi, spinge ad appassionarsi, ad entrare e a darsi da fare sui social media. La “like economy” è il vestito che la connessione continua ci cuce addosso fin da ragazzini, quando spesso si è orientati a creare un contenuto, un tweet o un post, che sia virali (o spreadable come preferisce dire ora Henry Jenkins) che ci renda famosi e ci ripaghi almeno con la moneta dell’apprezzamento condiviso, anche solo per cinque minuti.
L’inchiesta di Arduino e Lipperini è una carrellata di vite di ragazze e ragazzi che hanno sognato di diventare famosi e far soldi, che ha volte ce l’ha fatta ma molto spesso “c’è rimasta sotto”, vittima di in un’ossessione.
C’è la storia di Kiki Kannibal ragazzina starlette di un proto Youtube che di punto in bianco diviene bersaglio di mute di haters che la aggrediscono on line per un rifiuto. O quella di Leprottina, “un po’ Silvia Plath edulcorata e un po’ web celebrity”, che è arrivata a trenta chili di peso nel suo delirio di visibilità.
“Brand” è la parola magica che pare aprire il magico mondo delle opportunità in rete. Se tutti siamo un marchio allora basta inventarsi una strategia di marketing cucita su noi stessi e il gioco è fatto. Il sogno del personal branding per tutti è uno dei volani che fanno girare macchine da soldi come Facebook e la “micrcofama” è l’aspirazione di molti, moltissimi di coloro che hanno uno smartphone o un iPad tra le mani. Il circolo è chiaro: più visibilità, più notorietà, più soldi. E le piattaforme per metterlo in moto sono i social media con il loro potenziale esplosivo.
Effetti? Che per raggiungere la fama ci si concentra sulle strategie comunicative, su “quel che funziona”, sul “come” più che sul “cosa”. Aver un talento e qualcosa da dire conta meno che la capacità di imporre il proprio personal brand.
Così li autori snocciolano le regole per diventare microfamosi:
1.Fai da te
2.Trova uno stile
3.Esagera
4.Comunica
5.Scegli l’avversario giusto
6.Allèati
7.Diversificati
8.Polemizza
9.Insisti
E se gli individui, piccoli o grandi, sono sempre più calati nel meccanismo della microfama, al tempo stesso capita che anche le grandi aziende cercano di piegare ai loro interessi. Le recensioni dal basso di libri (su Amazon o su Anobii) o di hotel e ristoranti (Tripadvisor) fanno girare milioni di dollari. Se un tempo grandi gruppi, anche italiani, cercavano tra i blogger i vettori della comunicazione, adesso è Twitter la nuova dimensione dove cercare di far conoscere il proprio marchio attraverso utenti noti che portano in dote decine di migliaia di follower. Sarà un caso che il Grande Fratello 2014 cercava concorrenti anche tra noti twittatori, in grado di smuovere le acque per il reality a corto d’ossigeno?
“Intendiamoci, ci siamo dentro tutti, e tutti siamo morti di fama” scrivono Arduino e Lipperini. Se siamo tutti sulla stessa barca, quella della microfama che il web ci impone, quel che viene da chiedere è se allora esiste un modo “giusto” di starci in questa barca. Se la prostituzione del brand (genitivo oggettivo) è non solo sbagliata ma a volte anche rischiosa, quale dovrebbe essere il modo adeguato di abitare rete e social media?