Dopo aver considerato da vari punti di vista il tema, per nulla capzioso o “italiota” come qualcuno ha detto, dei rapporti fra il liberalismo e il liberismo, sono giunto alla conclusione, come è forse evidente dal percorso fin qui compiuto, che fra Croce e Einaudi avesse ragione quest’ultimo. O meglio: Croce aveva ragione parzialmente, mentre Einaudi aveva pienamente ragione. Croce era interessato a sottolineare un aspetto di certo liberismo fattosi ideologia, il fissismo, che contrastava con lo storicismo. Ma non considerava il fatto che il liberismo che si fa metafisica, chiamiamolo pure con il furbo Tremonti “mercatismo”, non è più liberismo. Così come, per un movimento simile, ad un certo punto, non è più liberalismo il giacobinismo, cioè l’imposizione dall’alto di valori che invece dovrebbero essere conquistati attraverso quella “lotta” di cui Einaudi esaltava la “bellezza” (ci hanno pensato a questa strana consonanza i più o meno fintamente ingenui corifei dell’hayekismo nostrano? Certo, Einaudi aveva attinto il “vero”, ma lo aveva fatto con un’impostazione metodologica del tutto diversa da quella crociana, empirica e non filosofica. Ma credo che non sia difficile giustificare anche filosoficamente la sua posizione. Lo faccio seguendo un procedimento simile a quello di Carlo Antoni: utilizzo cioè anche io Croce, il suo pensiero e i suoi strumenti concettuali, per prendere una posizione sull’argomento diversa dalla sua. Come dire? Con Croce, oltre Croce. La chiave di volta, quell’elemento del pensiero crociano che se opportunamente considerato e sviluppato scardina la sua posizione, è per me la Vitalità. Come ebbe a dire un interprete, il Vitale in Croce è una sorta di “supercategoria”, cioè è la molla stessa del movimento dialettico, cioè della vita. Ne è il polo positivo . Certo, questo polo è, per la legge stessa della dialettica, inestricabilmente legato al negativo. E certo è anche che il falso, il male, il brutto, ogni disvalore, consistono propriamente nel voler pre – scindere dal nesso. Tuttavia, ciò che va sottolineato è che la “nuda e cruda vitalità” si esplica in ogni aspetto della vita, facendola degna di essere vissuta, donandoci (nella tensione e non nella realizzazione) l’unica vera gioia e felicità che ci è possibile. La vitalità tende per sua natura a essere illimitata, a trasbordare. E perciò va circoscritta e limitata. Bisogna tuttavia farlo non prendendola di petto, ma assecondandola e guidandola. Se si facesse altrimenti, si segherebbe la sedia stessa su cui si è seduti. O ci si troverebbe nella situazione di quella moglie che per far dispetto al marito ….Le forze vitali del liberismo, i cosiddetti “spiriti animali”, vanno controllati, ma per fare loro un servigio, per farli meglio esprimere. Essi, per la loro forza intrinseca, tendono ad autocontraddirsi. L’imprenditore ad esempio non tende ad essere liberista con gli altri: vuole sconfiggere i suoi avversari, eliminarli definitivamente, conquistare il monopolio. La forza vitale che lo sorregge va fatta esprimere fino a un certo punto e non oltre: non con le regole del dirigismo, ma creando le condizioni perché altre forze vitali si contrappongono ad essa e la arginino. Ma, d’altronde, se quella forza intrinseca non ci fosse, non ci sarebbe sviluppo, ricchezza, benessere, “progresso”. Mai come in questo caso lo stesso coltello che ferisce è quello che sana. O, per dirla con Hoerdlin, la vitalità è il sommo pericolo ma anche la grande opportunità. Ora, va detto che le forze umane celebrate dal liberismo in economia sono le stesse in opera in ogni aspetto della vita: nella politica, che è lotta di interessi e che premia gli audaci; nell’amore, di cui non a caso si dice che, come la guerra, non ha regole; nella morale, che spesso ci impone di andare oltre il senso comune; persino nell’arte, ove lo spirito veramente creativo è poco rispettoso del senso estetico diffuso. Se il capitalismo, come dice Giorgio ruffolo, “ha i secoli contati”, non è forse per questa maggiore “aderenza” all’ “umano?
PS I marxisti, e gli anticapitalisti in genere, dicono che quella che qui si è chiamata “aderenza” all’umano non è altro che “aderenza” storica a “un “mondo capovolto” che bisogna finalmente “rimettere sui piedi”. Solitamente gli anticapitalisti obiettano ricordando le cattive performsances storiche del comunismo. In questo modo però si contribuisce a perpetrare, a mio avviso, l’ equivoco: che la società comunista sia di per sé buona nonostante che la realizzazione sia stata cattiva. Giustificare filosoficamente il capitalismo e il liberismo significa invece cogliere il punto fondamentale: il comunismo sarà pure impossibile da realizzare, ma a ben vedere non è nemmeno auspicabile.