Marx è stato tante cose, ma anche e soprattutto un grande filosofo. Ciò gli derivava dal fatto di essere cresciuto in ambiente hegeliano: di avere quindi introiettato le categorie della dialettica e dell’idealismo speculativo, che è in fin dei conti un ideal-realismo. Ciò che egli chiamava in modo più o meno appropriato “materialismo storico” sarebbe stato semplicemente inconcepibile senza la sua formazione “idealistica”. Tutto sommato la pensava esattamente come certi odierni “filosofi politici” o rawlsiani: la filosofia deve farsi politica e cambiare il mondo, non semplicemente osservarlo e cercare di capirlo (com-prendendolo col concetto). Solo che al contrario degli odierni “normativisti” (un termine che è per il pensiero rigoroso un non senso) l’intelligenza di Marx era molto più profonda, acuta, speculativa, appunto filosofica. Il passaggio dalla “teoria” alla “prassi” nel suo pensiero è immediato, nel solo modo in cui filosoficamente può esserlo: non come “applicazione” di un modello teorico alla realtà (ad esempio: i due astratti rawlsiani “principi di giustizia”), ma come prassi che capovolge il “pensiero” e si fa essa stessa pensiero-azione, senza distinzione. Marx esprime tutto questo quando parla di “prassi rovesciante”. E lo fa con un movimento di pensiero che è simile a quello che compiono altri “filosofi della prassi”, tutti più o meno da lui influenzati, come Gentile, Gramsci, e persino forse Lenin e Zizek. Questi autori si muovono lungo una continuità di pensiero “pragmatista”, o meglio “prassistica”, da loro stessi ribadita più volte e ben nota ad ogni studioso accorto. Il risultato, in questa prospettiva, è che la verità si fa nell’azione: “vero” è cioè che è utile alla prassi trasformatrice e rivoluzionaria. La strategia di Croce è volta al contrario a salvare, nello stesso ordine di pensiero filosofico, l’autonomia della cultura e della filosofia, a distinguere il vero dall’utile (e anche dal bello e dal bene). La cosiddetta “filosofia dei distinti” è in prima istanza un’affermazione di pluralismo. E coincide per lui con il liberalismo. Ugualmente Croce è sempre attento a non “chiudere” la dialettica, facendola diventare da “metodo” un “sistema”, come in diverso modo avevano pur fatto Hegel e Marx.. Quanto sia stata poi, quella di Croce, una battaglia vinta, anche logicamente, è difficile dirlo. Fatto sta che con Croce, Gentile, Gramsci, così come con Hegel e Marx, stiamo su un terreno comune, che è quello propriamente filosofico. E se vogliamo portare avanti la battaglia per la verità e per la libertà in modo serio, radicale e profondo, è su questo terreno che dobbiamo restare e con questi autori dobbiamo confrontarci. Hic Rhodus hic saltus. Lo stesso liberalismo non sarà mai solido se non fa i conti fino in fondo anche e soprattutto con Karl Marx. Il quale, proprio in quanto filosofo (dialettico, speculativo), “fu come uomo di pensiero uno dei nostri”, pur usare le parole dette da Croce su Gramsci.
CROCE E DELIZIE