AVANTI POPOLI!

Alessandro Lanni

Giornalista e autore di "Avanti popoli! Piazze, tv, web: dove va l'Italia senza partiti" (Marsilio 2011) e "Enigma Grillo" (40K - Unofficial 2013) http://40k.it/enigma-grillo

“Perché Habermas sbaglia sul web”. Parola di Rheingold

Questo articolo è uscito 6/7 anni fa sull’inserto Nova24 del Sole24ore, lo ripubblico in occasione dell’uscita in questi giorni del nuovo libro di Howard Rheingold, Perché la rete ci rende intelligenti (Cortina Editore), che tocca temi affini a quelli che a suo tempo Rheingold mi raccontò.

Il fatto è che la Silicon Valley è molto lontana dalle aule dell’università di Francoforte. A ben vedere è tutto qua la ragione per cui Howard Rheingold e Jürgen Habermas non si sono capiti l’ultima volta in cui hanno avuto modo di scambiarsi qualche battuta. L’autore di Comunità virtuali e Smart mobs è fin dall’aspetto – scarponcini dipinti e camicie hawaiane – molto diverso dal filosofo tedesco, ultimo epigono della mitica Scuola di Francoforte. Appartengono a mondi distanti e alla fine non può non vedersi. I nodi sono venuti al pettine qualche tempo fa. In un incontro pubblico, Habermas si rifiuta di rispondere a Rheingold, questi si risente un po’ e pubblica un post su un blog collettivo (www.smartmobs.com) nel quale racconta il suo faccia a faccia con il filosofo dell’agire comunicativo e la delusione che ha provato nel non essere preso sul serio.

«È un peccato – ci confessa Rheingold – che non ci si riesca a intendere. Molti di noi qui in California si erano interessati ad Habermas, alla sua versione del “discorso pubblico” e della democrazia. E quello che si vorrebbe capire è quale idea abbia della sfera pubblica nell’età di internet, del many-to-many e dell’infosfera». Secondo Rheingold, il problema è che Habermas non sa cos’è internet. «L’unica testimonianza di un suo interesse a mia conoscenza è quella in cui, durante un incontro con l’Associazione Internazionale della Comunicazione (nel giugno 2006), parla di internet come di un salotto fatto di chat room. Questa sua affermazione tradisce una certa mancanza di esperienza in materia. In rete ci sono social network, blog, commenti sui blog, insomma è un universo molto ampio».

Due modi lontani di pensare le tecnologie. C’è il libertario che viene dalla California, che insegna a Berkeley e Stanford dove nacquero i primi movimenti dei giovani universitari negli anni Sessanta e dove la partecipazione è sinonimo di libertà di accesso. Di fronte c’è il professore che nel ’68 criticò aspramente le manifestazioni in Germania e che è preoccupato dei potenziali effetti negativi che quella libertà completa può comportare.
Sono in molti tra gli esterni al giro degli “integrati” del web a sottolineare il rischio che internet non riesca a essere quello strumento miglioramento dell’opinione pubblica e della democrazia. Ad esempio, d’accordo con Habermas è anche un altro vecchio saggio “continentale” come Zygmunt Bauman per il quale internet è solo uno nuovo strumento di rappresentazione di idiosincrasie e narcisismi individuali. Contro un certo determinismo del medium, Rheingold controbatte: «Il pericolo è piuttosto la mancanza di informazione, la disinformazione, il discorso incivile che emerge rispetto al discorso razionale e critico che Habermas ha spiegato in modo eccellente fin dai tempi di Storia e critica dell’opinione pubblica». Era il 1962.

Come spesso accade in questo genere di discussioni, ci si concentra attorno al mezzo e al messaggio. Un “integrato” come Howard Rheingold difende il mezzo e accusa chi ne fa un cattivo uso. «Prendiamo il caso della campagna elettorale negli Stati Uniti. Attraverso alcune email, assolutamente false, si attaccano vari candidati. Un esempio lampante è quella in cui si affermava che Barack Obama è stato educato in una scuola islamica fondamentalista». Esiste chi sfrutta la rete per screditare, per ottenere un effetto sull’opinione pubblica, questo non significa però che è la rete stessa a essere malata.
La questione è dunque tra informazioni vere e false e non tra web e carta stampata, come sembra intendere Jürgen Habermas, che l’anno scorso aveva anche suggerito che fosse lo Stato con un finanziamento pubblico a salvare i quotidiani.

«È vero – concede l’autore di Smart mobs – il web è sicuramente un aspetto del cambiamento che i giornali stanno conoscendo e una sfida per loro. Le entrate pubblicitarie dei giornali sono diminuite. E molti di essi sono diventati corporate, di proprietà di grandi aziende che molto spesso operano nel settore dell’entertainment snaturando in parte l’anima originale della stampa. Per questo motivo è essenziale che indipendentemente dal fatto che le notizie siano su carta stampata o meno, esistano persone libere di investigare, in particolare su questioni governative. Questo è un requisito fondamentale della democrazia».

Dunque, la morte dei giornali non deve preoccupare oltre misura. E se anche moriranno, i gatekeeper non saranno uccisi da blog e social network. Parola di Rheingold. «Sono preoccupato ma è semplicistico credere che siano solo i giornali ad assolvere il ruolo di garanti della democrazia. Credo che la fiducia nella stampa, almeno negli Stati Uniti, si sia incrinata anche per le manipolazioni dell’amministrazione Bush durante la guerra in Iraq. Ma perché nessuno ha manifestato contro quelle affermazioni che si sono rivelate false e fabbricate ad hoc (il caso delle presunte armi nucleari di Saddam e dei legami con Al Qaeda ndr)? Perché mi dovrei preoccupare del web che erode il ruolo dei gatekeeper, quando questi gatekeeper hanno abdicato al loro ruolo?». Tra gli entusiasti del web 2.0, si dice che la sua dimensione orizzontale e collaborativa può aiutare a ridurre la distanza dei cittadini dai governanti aumentando anche le possibilità di controllo dei primi sui secondi. «La democratizzazione accorcia le distanze, spiega Rheingold. Ma questo significa anche che la democrazia sarà di conseguenza più sana? Sempre in questa campagna elettorale accanto a persone assolutamente “democratiche” che usano il web 2.0, ci sono gruppi che montano attacchi razzisti, diffondono false notizie, utilizzando la stessa tecnologia. Credo che accanto all’aspetto tecnologico sia importante includere quello sociale. Ripeto, non sono determinista, non credo che la tecnologia da sola possa bastare».

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