Bergoglio e la poesia: un rapporto importante, ma ancor più importante quello con i processi. E così ecco Bergoglio, vescovo di Roma, che scrive la prefazione a un libro di un giovane e sconosciuto poeta: perché?
Certamente Francesco ha un linguaggio poetico. Recentemente ha parlato della “proposta di Dio”, della “tenerezza di Dio”, e ha spesso ripetuto che “ciò che interessa di più a Dio è che siamo suoi amici”. Anche questo linguaggio è parte della sua forza, quella per cui riesce a interessare sempre, o quasi sempre. “Quasi” nel senso che quando ha detto che “Dio è un poeta”, titolo di un suo libro intervista, ha dato poco nell’occhio. Eppure lo avrebbe meritato. Perché forse per capire la sua visione di Dio ci aiuterebbe di più affacciarci dalla nostra finestra alle prime luci del giorno, o passeggiare nei cortili dei nostri palazzi immaginando praterie, come ha detto in un altro contesto anni fa. Certo, non basta essere dei contemplativi per entrare in relazione con la poeticità di Bergoglio: “lo guardate in faccia il mendicante quando fate l’elemosina? Lo toccate?” Non sono esperienze? Dio è un poeta, ma la poesia non ci interessa, o sembra corrisponderci sempre di meno. La poesia nelle nostre librerie può essere considerata o definita una produzione in crisi, non tanto per la forza della forma del romanzo, ma per la scarsa poeticità del nostro approccio alla vita. Forse dietro questo c’è la scomparsa di due vocaboli cari a Francesco: gentilezza e tenerezza. Ma non credo esagerato soffermarmi sul peso dell’epoca consumista, che ha sostituito quella della produzione, mettendo l’accento sul consumo voluttuario, non sul rapporto tra produttore e lavoro, tra produttore e chi possegga i mezzi di produzione. Era un altro tempo e quell’epoca richiedeva in certo senso anche una poetica della vita; non solo nell’alienazione, nella disumanizzante che Marx indicava così: “l’operaio non si afferma nel suo lavoro […] bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito”. Bisogna guardare le persone, scrutarle, capirle nel loro rapporto quotidiano con il loro lavoro per comprendere quell’esperienza umana, quotidiana appunto. La poesia in quel contesto offriva un sistema valido. Oggi ci offrirebbe un arricchimento nel quale riportare in ballo la vita, attraverso le sensazioni, le percezioni: il consumatore ne ha diritto? La realtà dell’uomo consumatore pone al centro la merce, soprattutto secondaria o superflua; uso e consumo. Sta qui la debolezza della poesia, prodotto alternativo? Il consumatore trova sempre meno tempo per soddisfare i propri bisogni fuori dal consumo per appagamento, magari costruendo relazioni, o approfittando di circostanze per fruire di un dialogo occasionale. Indubbiamente la poesia entra in tante altre forme d’arte e Francesco lo sa, definendo queste poesie canzoni senza note. Ma direi che nell’epoca consumista anche il tempo va consumato, anche l’arte viene capita o vissuta così, senza con questo stabilire graduatorie ovviamente, ma solo linee di compatibilità. La poesia è incompatibile con i non-luoghi, come il telefonino o la televisione.
Ma c’è dell’altro che mi ha molto colpito nel fatto che abbia deciso di scrivere una breve introduzione a un libro di poesie de giovane ventottenne Luca Milanese: non è un poeta affermato, non è un grande nome che ha cristallizzato una poetica. No, lui lo ha fatto per un giovane, forse acerbo, non so. Questo credo sia un fatto senza precedenti. E’ qui l’enormità. E ha scritto: “Se il nostro tempo è povero di poesia non è perché è venuta meno la bellezza, ma perché facciamo fatica a metterci ad ascoltare”. La poesia richiede la dote dello stare ad ascoltare, perché ci viene richiesta un’altra sintonia. Certamente, l’illusione dell’arricchimento esotico si è accompagnata all’illusione dei paradisi artificiali, che in fasi della vita e della storia possono avere avuto o conservare importanza, ma non quella di oscurare la poesia metropolitana di un qualsiasi rione, o di una campagna, o del bar sotto casa. Queste poesie sono dialoghi che ci richiedono di entrare in un rapporto poetico. “ La poesia è una tenerezza in doppia direzione: per chi la scrive e per chi l’ascolta”. E’ proprio così. Se un tempo erano parole inusuali, auliche, a segnare lo specifico della poesia, oggi la poesia sa portarci nelle frontiere della vita senza bisogno di stratagemmi, ma con l’immediatezza di una tenerezza, profonda nella sua crudezza o drammaticità o allegria, che può riverberare dentro di noi. Ma questo richiede tempo, soprattutto ci chiede di farci scavare, di entrarci dentro. E’ qui, io penso, il rapporto intimo della poesia con Dio. Ma, come accennato, in questa decisione di Francesco c’è di più. Nel commento che appare su La Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro commenta questa scelta definendola “eversiva”: il papa che scrive la prefazione a un libro di poesie di un giovane sconosciuto: “Il suo interesse è per il work in progress. E così ci fa capire che è in questa tensione che troviamo la chiave per l’oggi: nell’osservare ciò che si sviluppa, e non il frutto maturo. La maturità dei versi di Luca consiste semmai in quel che il Papa afferma della sua poesia: «fa vedere legami anche lì dove apparentemente sembra non essercene; sa cogliere nelle cose apparentemente casuali, una profondità nuova, diversa». E la sua parola dona «non tanto un concetto ma un’esperienza». Questo dell’esperienza è il passaggio decisivo, come quello del work in progress. Capiamo così che l’idea è quella di accompagnarci in un processo, non di condividere un punto di arrivo. Il cammino di Luca Milanese non consuma, non getta, ma evidentemente può diventare un’occasione.