Per Croce un processo simile a quello che avviene in campo pratico fra etica ed economica (che non è solo la politica ma il più ampio mondo degli interessi privati e particolari) avviene anche in campo teoretico fra logica e estetica (diciamo pure il mondo della sensibilità). In questo secondo caso, il pericolo sempre incombente (e a cui mi sembra che ad esempio il cosiddetto “nuovo realismo” soggiaccia) è che la verità sia concepita in modo platonico al di fuori del nesso che dialetticamente la tiene avvinta all’intuizione del concreto (secondo la linea tracciata da Kant: “il concetto senza intuizione è vuoto e l’intuizione senza concetto è cieca”). Nell’affermare i valori di un’etica non moralistica, che non si propone astrattamente di eticizzare la politica, e di una logica non intellettualistica, vale a dire di una logica che non concepisce le idee come essenze sovrastoriche, Croce asseconda il processo di concretizzazione che a suo dire caratterizza la modernità (ma io direi l’ “altra modernità”, quella storicistica e dialettica a cui anche lui appartiene). La filosofia diventa in qualche modo, e finalmente, una disciplina “impura”, cioè aderente al reale, vitale, terrestre, tellurica. Ed egli può parlare di una avvenuta “redenzione della carne” e di una “riabilitazione del senso”, ad esempio nel bellissimo saggio del 1931 che vuole essere un “piccolo eulogio” de Le due scienze mondane. Estetica ed economica (). Ecco, credo che sia lungo questa direttrice o questo sentiero della mondanizzazione della filosofia, del legame intrinseco che essa deve avere in una prospettiva rigorosamente immanentistica con la politica (filone Machiavelli) e la storia (filone Vico), che si giocherà la forza e il futuro dell’Italian Theory.
CROCE E DELIZIE