Devo dire che l’ordine di pensieri che svolge Simone Guidi nell’ultimo post sul blog di Reset della rivista “Lo Sguardo”, significativamente intitolato Per un cristianesimo erotico, è stato più volte sviluppato anche da me. Persino con un’impressionante concordanza di accenti. Quindi condivido e sottoscrivo in pieno l’articolo. Né io, ammetto, saprei dir meglio. Qui riprendo il discorso solo per aggiungere un elemento ulteriore, a me dettato dai miei interessi e concernente il filosofo che ispira il mio blog. Assodato che il cristianesimo è una religione diversa e particolare rispetto anche agli altri monoteismi proprio perché contiene in potenza, e anche in atto, la “riabilitazione del senso” e la “redenzione della carne”, resta da considerare che tipo di filosofia, o come si suol dire di sapere di sfondo, dà ragione di questa realtà. Deve trattarsi ovviamente di un pensiero che non separi spirito e carne, né in un verso e né nell’altro. Non basta, voglio dire, mettere in scacco la pretesa trascendentistica e spiritualistica su cui si è fondata la metafisica occidentale proponendo semplicemente una visione che metta al primo posto l’esigenza materialistica. In questo caso non si fa che riprodurre il dualismo e la gerarchia fra spirito e carne, seppure col segno cambiato. Non credo che pensasse a questo Friedrich Nietzsche quando implorava di sentire e rispettare le “ragioni del corpo”. Era troppo filosofo per farlo. E non pensava a questo Benedetto Croce quando, nel più volte da me citato saggio Le due scienze mondane. L’estetica e l’economica (1931), parlava della modernità come dell’epoca in cui si era messa in opera la “giustificazione teorica del ‘senso’” e la “redenzione della carne”. L’immanentismo concreto, e quindi la vera “redenzione della carne”, o meglio dell’uomo che è non spirito e carne ma spirito-carne, è quello che si dà oltre ogni astratto dualismo, vivendo la vita e non spezzando i nessi, ispirandosi alla massima terenziana “humani nihil a me alienum puto” (Croce scrive che quella che si suol chiamare, o che egli chiama “redenzione della carne”, lo è “della vita in quanto vita, dell’amore terreno in tutte le sue guise”). Ma detto questo, bisogna forse fare, a me pare, un passo ulteriore: chiedersi, intendo, quale sia la concezione generale del mondo e della vita che aderisce, da un punto di vista pratico, a questo sapere di sfondo, a questa filosofia. Direi che è null’altro che quella che io chiamo liberalismo. E che non è, non può essere, il liberalismo razionalistico-spiritualistico-trascendentistico della tradizione proto-moderna (o dell’individualismo metodologico neoliberale). Il liberalismo a cui io penso è un liberalismo a sua volta “incarnato”, immerso nel flusso della storia, non autoimmunizzantesi rispetto ai conflitti che percorrono la realtà. Quando Croce, da liberale, dice che “non possiamo non dirci cristiani” (il saggio è del 1942) è a qualcosa del genere, io credo, che pensa. Ma se è così significa che è veramente povera la visione laicista espressa da un sociologo come l’amico Luciano Pellicani, ad esempio in Le radici pagane dell’Europa (Rubbettino, 2007; cfr. la mia recensione: http://www.corradoocone.com/articolo_view.php?id=68). In definitiva, si può dire che, anche per questa parte, risulta confermato che la filosofia secolarizzata del nostro tempo è in continuazione, non in antitesi con la religione cristiana.
PS. Segnalo fra i molti due libri, da cui molto si apprende, sul tema: Margerita Pelaja – Lucetta Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (Laterza, 2008); Sergio Quinzio, Mysterium iniquitatis (Adelphi, 1995; me lo ha ricordato Guido Vitiello)