Alcune settimane fa un’archeologa della Harvard Divinity School, la professoressa Karen Leigh King, ha fatto vacillare l’occidente cristiano. A conclusione di anni di ricerche la studiosa ha portato alla luce un frammento di papiro del quarto secolo, contenente stralci di un vangelo apocrifo. Nelle poche righe che compongono il frammento Gesù parla in prima persona di una “sua moglie”, che ritiene degna di “essere sua discepola”.
La notizia ha suscitato un grande scalpore, nonostante tra vangeli, eresie, romanzi e speculazioni teologiche la figura di Cristo sia stata riccamente esplorata in ogni senso e non siano mancate le occasioni in cui ad essa è stata avvicinata una figura femminile. Fatto sta che la possibilità stessa di una donna in relazione con il figlio di Dio suona ancor oggi per molti – soprattutto credenti – come insolita e sacrilega, e ci si è immediatamente affannati a sottolineare che il frammento non ha rilevanza storica, non è una fonte diretta, insomma: non dimostra nulla.
Eppure nulla deve essere dimostrato. Un personaggio storico è fatto di storia – tempo e movimento – ed è il prodotto e il risultato di un mondo in continuo divenire, che l’archeologia materiale riscopre dal basso e quella concettuale spoglia dall’alto. Sotto questo aspetto Gesù è un evento storico come George Washington, Aristotele o Carlo Magno, ma lo è anche come Ermete Trismegisto o Christian Rosenkreutz, gente, quest’ultima, che non può esser detta tra i nati di donna, ma che ha influito in modo altrettanto rilevante sul nostro modo di vivere e pensare. La sua persona – “reale” o fittizia che sia – è stata in grado di generare un flusso storico radicalmente differente da quello che precedeva la sua apparizione, o per lo meno è stata in grado di assurgere a canale privilegiato di un simile mutamento. Ciò basta a dar conto del perché egli incarni, al di là della fede che gli si può accordare, un vero e proprio punto di riferimento antropologico e culturale, che difficilmente riusciamo ancor oggi a riconfigurare senza metter contemporaneamente mano a un complesso intrico di valori, precetti, credenze e pregiudizi.
Da cristiano eterodosso quale mi ritengo ho sempre trovato l’idea di un Gesù unito a una donna una provocazione straordinariamente efficace e per nulla in contraddizione con la significazione storica, metafisica e escatologica di Cristo. Un Dio che accetta la sfida dell’incarnazione, che si scopre implicato in una relazione radicale con le sue stesse creature – relazione che lo porta a mettersi in discussione in prima persona e affondare fino alle ginocchia nei luridi pantani dell’aldiqua – è qualcosa di radicalmente differente da un asceta, e non teme, né allontana, la relazione con quella rilevante porzione di realtà che è l’altro sesso. È un Dio fatto uomo, ricondotto all’esperienza, e come tale pronto a esplorare e poi rivelare al mondo tutte le potenzialità della creatura umana, comprese quelle erotiche in senso alto e, perché no, anche in senso più materiale.
Non si può negare, d’altro canto, che quello incarnato divenga un Dio davvero unico, dal momento in cui si concede per mezzo dell’incarnazione una serie di possibilità, tra cui quella di imparare a desiderare, amare e rispettare come sua pari una persona con cui condivide la vita – o dei segmenti della vita. E in questo egli non si preclude a priori, ma al contrario si apre, seppur in grado minimo, la possibilità di fare di questa incidentale esperienza un’occasione altrimenti irraggiungibile di maturazione, di crescita e di un’individuazione che provocatoriamente direi personale.
Questa possibilità, a cui il cristianesimo è costitutivamente improntato e che si può definire un “potenziale erotico”, scaturisce d’altro canto da un più generale erotismo – questa volta inteso in senso meramente ideale – che rende, io credo, del tutto peculiare la tradizione cristiana. Si tratta dell’idea di un Dio che si offre come carne viva alla creazione, che nascendo abbandona per sempre un utero iperuranico e un potenziale strapotere escatologico per entrare in un rapporto carnale e concreto con il mondo, disvelando per sé e per quest’ultimo una dimensione morale di pura e reciproca responsabilità. E non si tratta di una venuta che ha lo scopo di sigillare ad aeternum la creazione, ma di una rivelazione che è radicale messa in discussione di ogni antefatto: un evento irreversibile (è ammesso dalla stessa teologia cristiana che il Figlio trasfigurato non ritorni al Padre ma resti per sempre un uomo glorificato) che cambia per sempre l’identità stessa di chi un tempo era monoliticamente “colui che è” e oggi è “colui che si è fatto uomo”, colui che a seguito dell’esperienza della vita non-è-più-lo-stesso.
Questo potenziale erotico che residua nel cuore del cristianesimo appare oggi come un concreto elemento di scarto rispetto ad altre tradizioni religiose, che diversamente sembrano non poter iscrivere nel loro immaginario una simile evenienza e per questo paiono costitutivamente obbligate a sottomettere l’intera dimensione erotica a una costante supervisione teologica, escatologica e addirittura giudiziaria. Un esercizio da cui – nonostante la palese smentita della storia – la cristianità appare de jure esentata, ma al quale essa stessa, presentandosi e rappresentandosi nei disadatti panni di una via ascetica, di un percorso che conduce non in un altro mondo bensì fuori dal mondo, sembra volersi costringere, negando, svalorizzando e sopprimendo quell’apertura originaria all’erotismo che giace sul fondo della sua tradizione.
Ma questo è perdere quella traccia che lega la rivelazione alla carnalità, fino a rifiutare una parte decisiva della sconvolgente modernità di Gesù, del suo viscerale paradosso e del suo eterno scandalo.
Simone Guidi | @twsguidi
Mettendo da parte qualunque riferimento alla strumentalizzazione del simbolo Gesù…. secondo me… Cristo era terreno più di ogni altro uomo (e con questo intendo dire che è molto più probabile che abbia amato anche con il corpo….che non il contrario..). Se così non fosse non avrebbe potuto segnare i tempi. E’ stato collegato direttamente a Dio per l’amore incondizionato di cui era pervaso …così FORTE, così INCONDIZIONATO, così PURO… che era spiegabile solo attribuendogli origini per metà ultraterrene. Oggi fa notizia il terrore e fa terrore l’amore… che per questo non ne fa notizia.
….fortuna che fra i giornalisti c’è n’è almeno uno che ci prova a far notizia con l’amore…. Uno però è un pò pochino!
SARO`BREVE ……..NON SONO NE` SORPRESA …NE`SCANDALIZZATA SU UNA POSSIBILE MOGLIE DI GESU` ANZI SPERO CHE IL PAPA LASCI SPOSARE I PRETI …….SAREBBE GIUSTO ……..LA NOSTRA RELIGIONE DICE CHE UN PRETE DEVE PENSARE SOLO ALLE ANIME DA SALVARE INVECE IO CREDO CHE UN PRETE SPOSATO ADDIRITTURA UN PRETE DONNA , DEBBANO AVERE QUESTA POSSIBILITA` ………QUANDO SI FA UNA COSA NATURALE COME STARE CON IL / LA PROPRIO COMPAGNO DI VITA CAPISCE MEGLIO L`ANIMA DEI SUOI PARROCCHIANI .
UNA SEMPLICE MAMMA.
Certo, la reazione principale che il mondo antico ebbe nei confronti dello scandalo dell’incarnazione può essere riassunta nell’eresia dei docetisti: si tentò di negare la realtà della vicenda terrena del Cristo. D’altronde il mononofisismo e il dibattito sulla natura umana/divina di Gesù furono il problema che di gran lunga dominò l’attenzione nei primi secoli della teologia cristiana. La filosofia greca, pure, sembra essere nella sua essenza inconciliabile con tali dottrine.
Sono sicuro che tutto ciò abbia in qualche modo “annacquato” la scandalosità dell’evento storico che fonda la religione cristiana (la nascita del figlio di Dio) per le necessità ireniche di conciliare, di mediare.
Nel caso specifico del matrimonio di Gesù c’è però un’ulteriore preoccupazione che va, secondo me, tenuta in grande considerazione: il problema della possibile discendenza del Cristo. Ammmettere una sposa, significa quasi automaticamente ammettere figli del figlio di Dio. Non avrebbe questo aperto lo spazio ad una specie di dinastia sacra (estremamente pericolosa)?