THE VISIONNAIRE

Francesco Grillo

Francesco è Amministratore Delegato di Vision and Value, società di consulenza direzionale e si occupa soprattutto di valutazione di politiche pubbliche per organizzazioni internazionali. E' direttore del think tank Vision, con cui gestisce diversi progetti dedicati a "le università del futuro", "big society", "la famiglia del futuro" ed in generale all'impatto della rivoluzione delle tecnologie dell'informazione sulla società e sull'economia. In precedenza ha lavorato per la Bank of Tokyo e con McKinsey. Laureato in economia alla LUISS, ha completato un MBA alla Boston University e un PhD presso la London School of Economics con una tesi sull'efficacia della spesa pubblica in ricerca (http://www.visionwebsite.eu/vision/staff_cv.php?cv=1) . E' editorialista de Il Mattino e de Il Messaggero ed è autore di diversi libri sull'impatto di Internet sulla sanità (Il ritorno della rete, Fazi, 2003), sull'automobile (La Macchina che cambiò il Mondo, Fazi, 2005), sui media (Il Sonno della Ragione, Marsilio, 2007).

Per l’Europa non c’è più tempo: in arrivo la nuova recessione globale

Come un guerriero che, miracolosamente scampato ad una battaglia nella quale ha usato tutte le armi a sua disposizione, si lascia alle spalle la carcassa del drago finalmente vinto, solo per infilarsi, senza neppure accorgersene, nella bocca spalancata di un drago ancora più grande.È con un’immagine di copertina come al solito assai efficace che l’Economist di qualche settimana fa commentava lo stato delle economie cosiddette avanzate; immagine che vale con più forza, per un’Europa che non può più permettersi il lusso di perdere tempo a litigare per non decidere nulla. Del resto lo confermano i dati delle previsioni sull’economia mondiale presentate Venerdì scorso dal Fondo Monetario Internazionale e che hanno dominato l’agenda della riunione dei capi di Stato dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa).

Nel 2015 per la prima volta dopo cinque anni di crisi, tutte e tre le maggiori aree ad industrializzazione più avanzata – Nord America, Europa e Giappone – cresceranno, anche se a ritmi contenuti; tuttavia il rischio stavolta davvero grosso è che un’eventuale nuova recessione ci troverebbe in uno stato di vulnerabilità superiore rispetto alle recessioni precedenti perché abbiamo praticamente svuotato per combattere la crisi cominciata nel 2007, gli arsenali della politica monetaria e fiscale. Peraltro, i nuvoloni della nuova recessione si stanno addensando ad un orizzonte che va dal Brasile alla Cina passando per la piccola Grecia, in maniera molto più veloce di quanto non si potesse prevedere solo qualche settimana fa. Per l’Europa, in particolare, le previsioni rischiano di essere quelle di una tempesta perfetta.

Pochi lo sanno ma, in effetti, mentre negli ultimi cinque anni, la zona Euro si ripiegava su se stessa a gestire una recessione dalla quale non siamo, neppure, completamente usciti (non abbiamo ancora recuperato il livello di reddito per persone ante crisi), il resto del mondo ha vissuto uno dei momenti di più alta espansione nella storia.Mentre in Europa si perdevano cinque milioni di posti di lavoro che non sono più tornati, in Sud America e in Asia centinaia di milioni di persone abbandonavano lo stato della povertà assoluta per fare il loro ingresso nella classe media.

Da qualche mese però la situazione è cambiata sotto i nostri occhi distratti dai soli problemi che ci arrivano direttamente a casa. Dei cinque motori del famoso BRICS, due stanno girando al contrario (Brasile e Russia sono in recessione) e uno (la Cina) ha dimezzato il proprio ritmo di crescita; continua a correre la sola India, e altri Paesi – Indonesia, Vietnam, la Nigeria con forti contraddizioni – si candidano ad un allargamento del club. Il risultato netto è, però, un abbassamento drastico del tasso di crescita dell’economia mondiale a livelli quasi europei (3,3%).

In realtà lo stallo che colpisce economie come la Cina è un fenomeno abbastanza naturale: dopo aver corso tanto velocemente da raddoppiare la dimensione dell’economia ogni sette anni, spiazzando la manodopera dei Paesi a industrializzazione consolidata, la Cina non poteva non riprendere fiato per fare i conti con l’esaurimento di un modello di crescita. La nuova classe media, del resto, come qualsiasi classe media, dopo aver soddisfatto i bisogni che sono alla base della piramide di Maslow, appare sempre meno disponibile a sacrificare tutto – includendovi anche la qualità dell’aria che respira – al mantra della locomotiva del mondo. La crescita se ci sarà, per la Cina sarà trainata dai consumi interni e soddisfatta, in maniera crescente, dalle imprese cinesi che – come segnala un rapporto recente di McKinsey Global Institute – stanno cercando di portarsi su una curva nuova del proprio ciclo di sviluppo aiutate da uno Stato che in ricerca, spende già più di quanto facciano i governi europei.

Se, insomma, l’Europa puntava tutto sul motore delle esportazioni, potremmo ritrovaci presto con il motore inceppato. Ma c’è un altro più insidioso elemento che in prospettiva è urgente considerare: se la risposta all’ultima crisi è stata, soprattutto, di politica monetaria con le banche centrali e di politica fiscale con i governi, ciò ha pericolosamente ridotto i margini di ulteriore utilizzazione di tali armi. Se nel 2007 i tassi di interesse erano nel mondo sviluppato attorno al 4%, la necessità di fornire stimoli ad un’economia in sofferenza li ha ridotti dappertutto a livelli molto vicini allo zero. Nel frattempo, la spesa pubblica ha raggiunto dovunque (anche in Inghilterra) un livello – pari alla metà della ricchezza prodotta in un anno – che, come per lo zero del tasso di sconto, costituisce un limite quasi invalicabile. Se, dunque, ci fosse un’altra crisi – e gli europei stanno facendo di tutto per affrettarne i tempi con la tragicomica sul debito di Atene -, ci ritroveremmo a doverci inventare altre armi perché quelle convenzionali le abbiamo tutte utilizzate.

E ciòci lascerebbe ancora di più – senza alcuna residua possibilità di perdere tempo – di fronte ai nodi gordiani che neppure la crisi ci ha costretto a sciogliere. Possiamo conservare e accrescere la qualità della vita e i nostri livelli di benessere, ma solo se investiamo in un progetto Marshalldi innovazione diffusache coinvolga tutti. Possiamo farlo ma solo rinunciando al mito di un Super Mario che con una bacchetta magica risolve tutti i problemi inondandoci di liquidità; misura che, peraltro, ha la fastidiosa controindicazione di poter ridurre la propensione al cambiamento di elettorati e governi.

La cosa preoccupante è che la politica e la stessa politica economica, prima in Italia e poi Europa, è progressivamente diventata una soap opera infinita:c’è solo la Grecia, solo il teatrino degli euro gruppi sul deficit ed il resto dei dossier – dalla strategia di Lisbona che voleva fare dell’Europa l’economia più competitiva perché basata sulla conoscenza, fino agli investimenti sulla scuola, sui satelliti, sulle metropolitane e sulle città – non ci sono più.Un’Europa così ha un disperato bisogno di ricominciare a navigare per conoscere, anticipando il futuro prima di esserne travolta.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 17 Luglio 2015

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