LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Patto e contratto

Parole

Nel vocabolario politico, ‘patto’ è espressione sempre più frequentemente usata sia per designare gruppi politici e coalizioni candidate al governo del paese, sia specifiche politiche e azioni di governo della società e dell’economia. Abbiamo avuto un ‘contratto’ con gli italiani, ma sempre più spesso sentiamo parlare di ‘patto’ per l’Italia, il lavoro etc. I due concetti, contratto e patto, non sono equivalenti. Sono segnati da storie complesse che in parte si sovrappongono, ma in parte si differenziano e addirittura divaricano. Si potrebbe anche dire che sono nodi centrali di costellazioni socio-politiche che pensano individuo, comunità, obbligazione e autonomia, in modi significativamente diversi, per quando a tratti intersecantesi. Patto e contratto si sono avvicendati, come termini chiave, sovrapposti e poi ancora differenziati, in tradizioni politiche come quella biblica, quella repubblicana classica e quella liberale, che esprimono, come Robert Bellah e colleghi mostravano in un a tutt’oggi insuperato modello di perfetta coniugazione di ricerca e teoria sociologica – Habits of the Heart. Individualism and Commitment in American Life – diversi tipi di individualismo. Naturalmente, ognuna di queste tradizioni è al suo interno plurale e ricca di diramazioni, ma ciononostante si può sostenere che esse propongano diverse concezioni per esempio dell’individualismo, e che a distinguere la tradizione biblica e quella repubblicana dal liberalismo vi sia il fatto che esse “collocavano l’autonomia individuale in un contesto di doveri morali e religiosi che in alcuni casi giustificava tanto l’obbedienza quanto la libertà”. A fondamento di questa differenza vi era esattamente la maggiore centralità della figura del patto rispetto a quella del contratto.

Il punto centrale della distinzione sta nel modo in cui il liberalismo da un lato, e le tradizioni biblica e repubblicana dall’altra, pensano il nesso tra obbligazione e consenso. Nel primo caso, l’obbligazione politica poggia completamente sul consenso accordato da soggetti liberi e autonomi in virtù di una coincidenza o di interessi o di princìpi. Stiamo insieme, come individui, perché ci conviene o perché abbiamo buone ragioni per farlo. Nel caso delle tradizioni biblica e repubblicana, di cui oltre a Robert Bellah altri grandi esploratori nel panorama delle scienze sociali e politiche sono stati e sono Michael Walzer, John G.A. Pocock e Quentin Skinner (per fare solo alcuni tra i nomi più noti), nonostante le differenze pure significative tra di esse, l’obbligazione non poggia mai solo su un consenso contrattualmente accordato per interesse o buone ragioni, ma su un fondamento che Durkheim chiamava pre-contrattuale, fatto di memorie condivise (che non significa sempre e necessariamente ireniche), senso di un destino comune, dello ‘stare sulla stessa barca’. A partire dall’importanza accordata alla dimensione pre-contrattuale dell’obbligazione politica – stiamo insieme come comunità anche perché abbiamo un passato fatto di lotte, sofferenze e riscatti, torti commessi e subiti, perché siamo insomma delle comunità di memoria – è l’intera ragnatela di nessi tra autonomia individuale e doveri verso la collettività, obblighi di questa verso i suoi membri, obblighi dei membri della comunità tra loro, che cambia aspetto. Ma quel che cambia è anche l’idea del rapporto tra politica e dimensioni comunitarie e societarie, con – nel caso delle tradizioni centrate sulla figura del patto – una più forte enfasi sull’autonomia e auto-organizzazione del sociale e delle comunità e un ridimensionamento della ‘centralità’ della politica. Si potrebbe insomma dire che, pur tra le ovvie similitudini, è un’intera sociologia oltre che concezione della politica che distingue le figure del patto e del contratto.

Ciclicamente, il liberalismo – famiglia al suo interno plurale e che da John Locke a John Rawls vede naturalmente anche importanti discontinuità – viene sfidato su questo terreno da prospettive intellettuali e/o movimenti politici e sociali che ne denunciano la riluttanza – quanto meno – nel tematizzare il fondamento pre-contrattuale dell’obbligazione politica, con tutto quel che ne deriva in termini di impoverimento di un vocabolario in cui memoria, responsabilità verso la collettività e responsabilità della collettività verso i suoi membri, senso di un destino condiviso, si assottigliano fino alle volte a perdersi in visioni atomistiche e utilitaristiche del sociale. Repubblicanesimo e comunitarismo negli anni Ottanta e Novanta del Novecento hanno rappresentato alcune, le più note, di queste sollecitazioni anti-atomiste e anti-utilitariste al liberalismo. Ne esistono forme corporativiste e solidariste, di ‘destra’ e di ‘sinistra’, peggiori del ‘male’ che vogliono curare e più attente e sensibili al pluralismo e alle differenze.

È bene che la sfida al liberalismo continui, che del liberalismo non ci si accontenti. È bene che si cerchi di articolare, in forme sempre più accorte della centralità del valore del pluralismo, una sociologia e una politica che muovano dalla figura del patto, e che pensino l’intera costellazione ad esso legata – mutua obbligazione tra comunità e individui, memoria, appartenenza – in un orizzonte pluralista e democratico. È bene che non si lasci la figura del patto ed i suoi correlati semantici ad orizzonti anti-pluralisti e anti-democratici, e che si rifiuti la patente di illibertà con cui sovente si etichettano, nel discorso politico come in quello intellettuale, le critiche al liberalismo.

 

  1. I concetti sia di patto che di contratto implicano due entità distinte che convengono su qualcosa che non solo li implica ambedue ma che, per la sua realizzazione, li mette in relazione. Il problema, a mio parere, non sta tanto nella scelta del termine più adatto, ma nel divario tra le parti che, nel caso della politica, è contenuto nel concetto stesso dell’accordo. Il patto/contratto sociale è infatti considerato una disponibilità di chi detiene un potere verso colui che non ne dispone in ugual misura. La concezione di relazione tra le parti più adeguata ai nostri tempi ritengo sia un’altra: non quella legata ai diversi poteri, ma quella definita dai diversi ruoli. I poteri e le responsabilità che i ruoli comportano, questo è l’elemento di riflessione mancante.

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