COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Se il papa andasse davvero a Najaf potrebbe cominciare un’altra storia

In un’intervista esclusiva con il SIR – servizio informazione religiose – il patriarca caldeo Louis Sako ha affermato che Papa Francesco potrebbe recarsi , durante il suo imminente viaggio in Iraq, anche nella città santa degli sciiti, Najaf, e lì firmare con il grand’ayatollah al Sistani il documento sulla fratellanza umana già firmato con la principale autorità dell’islam sunnita, l’imam al-Tayyeb. Perché possiamo dire che se così fosse si tratterebbe di un evento di portata molto più importante di quelle usualmente definite dalla stampa “storiche”? 

Per rispondere dobbiamo capire prima di tutto chi siano gli sciiti e che luogo sia Najaf. Gli sciiti sono la minoranza dell’islam, a dividerli dai sunniti c’è la storia, il sangue. Gli sciiti sono infatti fedeli al quarto califfo, Ali, ucciso in combattimento dagli uomini del capostipite della dinastia dei califfi omayyadi, ed a suo figlio Hussein, ance lui ucciso in battaglia dai vincenti omayyadi. Ali era imparentato con Maometto, e gli sciiti ritengono che solo loro, i parenti di Maometto, avessero diritto alla guida della comunità. La morte di Ali e poi di Hussein segna la frattura tra i loro seguaci, gli sciiti, e i fedeli ai califfi omayyadi, i sunniti. A questo dato di fondo si aggiungono varianti dottrinali. Ma il punto vero è questo: il sangue di Ali e di Hussein, versato in Iraq. Dunque lo sciismo nasce in territorio arabo, nell’antica Mesopotamia, l’odierno Iran, l’antica Persia, fu conquistato e islamizzato proprio dagli omayyadi. Poi il rito sciita ne divenne la religione di stato. Nel tradizionale e proverbiale conflitto tra arabi e persiani (iraniani)  gli arabi sciiti hanno così patito una duplice discriminazione: arabi ma non sunniti per gli arabi, in larga maggioranza sunniti, sciiti ma non persiani per gli sciiti, in larga maggioranza persiani visto che lì lo sciismo divenne religione di Stato. 

Questa dimensione di discriminazione degli sciiti arabi, gli esclusi, ne ha fatto a lungo una minoranza che ha trovato la sua coesione nella contestazione del potere, con un diffuso  orientamento comunista. Moltissimi comunisti arabi erano sciiti. Fino a Khomeini. Il golpe (il sequestrato del personale d’ambasciata statunitense a Tehran)  con cui Khomeini si è impossessato della rivoluzione iraniana, nella quale proprio i comunisti avevano svolto un ruolo rilevante, ha avviato una confessionalizzazione miliziana delle comunità sciite, soprattutto con i pasdaran e le loro propaggini. La svolta teologica, eretica, di Khomeini, è connessa a questo mutamento, e si chiama “governo del giureconsulto”. Lui Khomeini, era il giureconsulto, l’uomo giusto che guida la rivoluzione. La guida della rivoluzione nasce così. Lo sciismo, nella sua scuola principale, è “duodecimano”, cioè crede nei dodici imam ben guidati, l’ultimo dei quali si è addormentato e tornerà alla fine dei tempi. In  assenza dell’imam e nell’attesa del suo ritorno, il giurista, o giureconsulto, ha facoltà di tutelare e reggere gli interessi della comunità. Questa visione si è imposta ovunque con la rivoluzione iraniana nello sciiismo, eccetto che nella grande scuola di Najaf, la città santa degli sciiti, dove tutti gli sciiti sognano di essere sepolti. Il Grand Ayatollah al-Sistani ne rifiuta la legittimità teologica, asserita dalla scuola teologica di Qom, dove  rimangono alcuni  ayatollah dissidenti da Khomeini e dal suo pensiero. Questa guida della rivoluzione pretende chiaramente  di essere una guida mondiale, politica e religiosa. 

Le città dei sacrifici di Ali e di Hussein, Najaf e Karbala, città della Mesopotamia, sono però, a differenza di Qom, i veri luoghi sacri e santi dello sciismo. Dunque la cosa importante dell’ipotesi prospettata in vista del viaggio del Papa non è tanto la firma, quanto il fatto che ciò avvenga a Najaf: la culla, il luogo identitario dello sciismo. E’ dunque il luogo che parla al cuore di ogni sciita, e la firma a Najaf è come una firma con l’identità di ciascuno di loro. Che poi a Najaf il papa della cristianità e il Grande Ayatollah firmino un documento che ricalca quello firmato anche dalla principale autorità teologica sunnita dà all’evento un significato che va al di là del dato contemporaneo, entra nella storia della divisione islamica, apre una prospettiva nuova. Nella loro storia sia gli arabi sunniti sia i turchi sunniti hanno discriminato gli sciiti: e nella storia i khomeinisti hanno sempre ammantato il loro imperialismo rivoluzionario con il senso del “riscatto”, della rivincita per le morti di Najaf e Karbala. La confessionalizzazione delle comunità sciite è diventata una loro militarizzazione con le milizie di Hezbollah, come si vede dal Libano all’Iraq.  

La prospettiva della cittadinanza, cioè di uno stato dove tutti siano cittadini con pari diritti, sposata dal documento firmato da Papa Francesco con l’imam di al-Azhar, è rivoluzionaria per l’islam soprattutto per questo: la parità in patria e fuori tra sunniti e sciiti. L’uso reazionario e “rivoluzionario” della religione sia da parte dell’uno sia da parte dell’altro (iraniani e sauditi) si basa su questa eternizzazione della storia. Ecco perché l’evento, a occhio nudo, appare di portata epocale. 

L’ideologo della rivoluzione iraniana, Ali Shariati, tradito dai khomeinisti, ha scritto pagine indimenticabili sul significato delle battaglie e del sangue di Ali e Hussein, basti questo breve  brano sui due cancri che a suo avviso si sono abbattuti sul popolo di Allah dopo Najaf e Karbala: “il primo è il cancro dell’autorità religiosa, gli pseudo-dotti dell’Islam. Questo cancro paralizza la seconda generazione dell’Islam, la cui propaganda, alleata del potere , avvelena la società. Il tumore dell’autorità religiosa si è diffuso violento e potente, paralizzando la seconda generazione di musulmani, che non avevano conosciuto il linguaggio del Profeta, di Ali e degli Emigranti. Così vengono educati da coloro che si sono venduti. Eccoli avvelenati dalla propaganda religiosa foraggiata dal potere. Il secondo cancro è il fatalismo. L’Islam diviene la religione del fatalismo, dell’accettazione supina di ogni ingiustizia. Per diffondere il cancro del fatalismo i dotti dell’Islam si inventano 40mila detti attribuiti al Profeta, che per pronunciarli tutti avrebbe dovuto vivere mille anni! E’ così che si spiega alla popolazione che bisogna accettare la volontà dei governanti.” Per lui invece alla base dell’Islam è la rivoluzione umanista, “che è alla base dell’Islam e del monoteismo: alzarsi e farsi testimone”. 

La visione di Shariati incantò le mosse iraniane in nome di questi principi, molto vicini a quelli della Primavera e dell’Onda Verde, anche loro tradite come fu tradito Shariati. Ora il viaggio di Papa Francesco, se davvero arriverà a Najaf per firmare con al-Sistani il documento firmato con l’imam di al-Azhar, potrebbe contribuire ad aprire un’epoca nuova, troppo a lungo attesa.          

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