Nella Basilica Superiore di Assisi, tra gli affreschi più belli del mondo, belli quanto quelli della Cappella nella quale i cardinali stavano eleggendo un Papa che arriva là dove finisce il mondo e la Terra diventa di fuoco, c’è la rappresentazione che Giotto fa di un sogno decisivo: quello di Innocenzo III che immagina la Chiesa (simboleggiata dalla Basilica di San Giovanni) sorretta dal frate che avrebbe incontrato il giorno dopo per concedergli una travagliatissima autorizzazione a fondare un ordine monastico che avrebbe salvato la Chiesa attraverso una fortissima innovazione.
Ed è per questo motivo che il cardinale che viene dal quartiere di San Lorenzo ha deciso di chiamarsi Francesco. Il nome più bello del mondo. Certamente quello del Santo più importante della Storia della Chiesa.
Ma ieri pensavo più prosaicamente al confronto irriverente che qualcuno può fare tra due istituzioni – la Chiesa e lo Stato Italiano – che hanno seguito traiettorie di credibilità, autorevolezza totalmente diverse. Centocinquanta anni fa, a Porta Pia, entravano a Roma senza trovare resistenza i bersaglieri di una creatura nuova, dinamica, ambiziosa, fondata sui valori di giganti del pensiero e dell’azione come Mazzini, Cavour, Garibaldi, D’Azeglio: uomini diversissimi ma tutti di grande valore. Di fronte a loro si polverizzava uno Stato debole, mal amministrato, da secoli rinchiuso su se stesso e in una cittadina ridotta ormai all’ombra del suo grande, lontanissimo Passato. Dopo centocinquant’anni sia la Chiesa che lo Stato Italiano affrontano – pur nella diversità totale della propria natura – problemi grandi che ne mettono da tempo in discussione la loro sopravvivenza: ma con un approccio, risultati totalmente diversi. E lo Stato italiano a sgretolarsi, mentre la Chiesa diventa sempre più uno dei pochi riferimenti universali.
Tutte e due le istituzioni in realtà affrontano il proprio problema più grave – il rinnovamento della propria classe dirigente – con lo stesso metodo: la cooptazione. Però la differenza è che la Chiesa vi si affida in maniera assolutamente trasparente, lo Stato italiano, invece, vi è inchiodato da una pratica che, a volte, si istituzionalizza (come nella legge elettorale vigente) ma è contraddetta dall’aspettativa costituzionale di una normale, piena democrazia.
I due sistemi di cooptazione riescono, però, a produrre appunto risultati opposti. Da una parte il coraggio della innovazione: due delle ultime tre elezioni hanno visto, come diceva ieri un ragazzo a Piazza San Pietro, un capovolgimento del mondo; il Papa polacco, quello che mise in crisi il Comunismo e picconò poi il Capitalismo; quello di ieri che fa della semplicità la sua bandiera; ma anche forse il grande teologo che avverte il resto del mondo del pericolo del relativismo (come persino Bertrand Russell avrebbe condiviso). Dall’altra, un balletto di nomi e di facce senza che nulla cambi – almeno fino alle elezioni di due settimane fa – e con una inarrestabile perdita di credibilità.
La differenza sta tutta nella qualità della classe dirigente cooptante: da una parte un gruppo di cardinali che hanno cultura, capacità di intendere il globale e la storia, elevatissima; dall’altra politici mediocri, soprattutto senza conoscenza, la conoscenza che è necessaria per risolvere problemi, per avere leadership. Da una parte chi si può permettere l’innovazione se essa è necessaria per assicurare continuità ad una Storia millenaria; dall’altra figure debolissime, che hanno paura della propria ombra, che non possono che aspirare tutt’al più a sopravvivere fino a domani e la cui priorità – al momento del rinnovamento – è quella di selezionare persone ancora più deboli.
La conoscenza: quella della Storia, quella che ti fa percepire il Futuro perché sai qual è il tuo ruolo, che ti rende in grado di proporre soluzioni e suscitare aspettative sostenibili. Da una parte c’è una leadership universale; dall’altra il nulla.
Sarebbe sbagliato giudicare la Chiesa, come fanno tanti che magari non hanno appunto senso della Storia, sulla capacità di fare “riforme”: queste fanno parte della semantica di uno Stato. La Chiesa deve parlare al cuore delle donne e degli uomini, avendo rispetto del loro “arbitrio” e degli Stati che le donne e gli uomini decidono di costituire per regolare le proprie vicende. Però al cuore e alla ragione dovrebbero parlare anche gli Stati. Quello italiano da tempo sembra affondato nella mediocrità. Pur tenendo presente le enormi differenze, la semplicità quale punto finale di una grande conoscenza – lo era per Francesco che conquistò persino il Saladino, lo è per il primo Papa ad aver osato diventare Francesco – dovrebbe forse diventare il valore dal quale – dopo anni di cinismo disperato – ripartire per costruire società più giuste.