La Civiltà Cattolica quest’oggi ha pubblicato un testo postumo dell’ex preposito dei gesuiti, padre Alfonso Nicolàs. E’ un testo che comincia in modo per me folgorante, così: “Per un certo tempo noi religiosi ci siamo interrogati sulla nostra vita nella Chiesa e sulla forza di attrazione della nostra testimonianza.” Recentemente Papa Francesco ha detto che Cristo si rivela per attrazione. Quindi il compito della Chiesa non è il proselitismo, ma rendere visibile quella forza che deve attirare e quindi stupirci, anche se non ci si può stupire per forza. Qui ovviamente ho trovato quella superiorità spirituale di Francesco che gli consente di essere il leader spirituale del mondo. Non ci si può stupire per forza… Per me crolla una pretesa che da fuori della Chiesa appare insopportabile, ma da dentro la Chiesa deve apparire incredibile. Non sei stupefatto dalla gratuità dell’amore di Dio? L’enormità di Bergoglio è qui.. per me. Lui per la precisione ha detto: “ La predilezione amorosa del Signore ci sorprende, e lo stupore, per sua natura, non può essere posseduto né imposto da noi. Non ci si può “stupire per forza”.”
In piena sintonia con questa visione che tanti non riescono proprio a capire padre Nicolàs sa proseguire così: “ Non è necessaria un’intelligenza straordinaria o una profonda analisi per rendersi conto che ciò che chiamiamo «vita religiosa» ha perso qualcosa del suo impatto nella Chiesa e fuori delle sue mura. Naturalmente questo non avviene dovunque. Alcuni gruppi di religiosi hanno mantenuto e anzi, accresciuto la loro credibilità con l’autenticità della loro vita, del loro servizio ai poveri, o la profondità della loro preghiera. Tuttavia le domande permangono. Che cosa abbiamo perduto? Dove abbiamo sbagliato? Ci siamo ingannati circa la nostra chiamata al rinnovamento? Siamo senza una meta?”
Questo lo induce a porre delle domande “autocritiche” ai suoi confratelli sui possibili limiti, sugli errori nei quali un religioso, un gesuita può incappare. Il punto di arrivo, sinceramente, mi ha sorpreso: “ Il compito continua a essere immenso ed esigente come sempre. Anche la risposta deve essere totale, concentrata, focalizzata come sempre o anche di più, perché stiamo cominciando a capire che il piano di Dio è stato anche un piano per l’universo e non solo per la famiglia umana. La presenza di Dio a tutta la creazione sta ridefinendo la nostra missione con gli echi di Genesi e Paolo.” Qui il testo ci fa compiere un balzo in avanti al quale è difficile sentirsi totalmente pronti, ma mi sembra che sia quello decisivo per entrare in una dimensione appropriata all’epoca attuale, segnata in particolare da Laudato Si’.
Tra questi alfa e omega, punto di avvio e punto di arrivo c’è però un lungo cammino, anche impervio, e provando a riassumere alcuni dei punti fondamentali indicati vedo in particolare un altro punto di questo testo che è molto importante e riguarda il problema più spinoso da porre, l’Ego. Qui siamo accompagnati in un cammino che poco consideriamo in rapporto alla complessa natura umana, sulla distrazione causata dall’Ego. “Il nostro ego non riposa mai e vuole sempre attirare la nostra attenzione su se stesso. Senza bisogno di giocare il ruolo di «agenti spirituali» – buoni o cattivi – possiamo tranquillamente dire che l’ego è la più grande fonte di distrazioni durante il viaggio della vita.
La distrazione prende posto quando il focus della nostra mente e del nostro cuore è fuori posto. Fare esperienza di contraddizioni o difficoltà, a volte alcune anche molto serie, è parte della vita e comunicazione del Vangelo. La persona veramente spirituale vive questa esperienza con una grande libertà interiore che lo (o la) porta a un’intimità più stretta con Dio, con la verità e con i piccoli che sono i veri esperti nel soffrire. Coloro che sono meno spirituali soffrono difficoltà e le vedono tutte come un complotto contro l’Io. Essi si sentono perseguitati e, naturalmente, perdono la pace interiore e la gioia. Essere concentrati sull’Io incompreso o ferito finisce per diventare una distrazione enorme.
Un processo di questo tipo si verifica quando nel prendere una decisione non ci focalizziamo sulla volontà di Dio, che io non posso mai né controllare né dirigere, ma sull’opinione di altri, sia una qualche opinione tenuta dai più, sia l’opinione di coloro che ci piacciono, o amiamo o ammiriamo. Questo è ciò che chiamerei distrazione di popolarità, ed essa viene dallo slittamento del posto e del processo di presa di decisione dal largo e mai controllato processo di discernimento al più facile sentire e agire secondo una dinamica di gruppo, sia pure di persone sante e onorevoli.” Certamente questo è un discorso tocca l’Ego ma in modo molto più articolato di quanto siamo soliti fare, e bisogna ancora procedere, trovando un terreno sorse più piano:
“Si verifica anche quando i nostri orizzonti umani e spirituali si restringono. Il modo più comune secondo cui questo avviene è ovviamente quando ci innamoriamo delle nostre opinioni, specialmente se siamo convinti che queste opinioni siano intelligenti, le migliori in circolazione. Possiamo essere talmente distratti dalle nostre opinioni che, se dovessimo enumerarle, non finiremmo mai. Quando S. Ignazio offre alle persone che terminano gli Esercizi Spirituali alcune regole per avere il retto sentire e agire nella Chiesa, egli cerca di aiutarle a essere libere da questa distrazione degli orizzonti ristretti. Le parole suonano dure e difficili da accettare, ma ciò che il santo voleva era la libertà, l’apertura a qualcosa di più grande che solo qualche idea, anche se possa essere la mia.” Qui ci si rende conto della complessità e delicatezza della questione e non si poteva non arrivare anche al possibile aspetto ideologico della “distrazione”. “ L’importanza di questa libertà diventa evidente se, invece che di opinioni personali, parliamo di ideologie o di scelte ideologiche. Quante decisioni personali o anche di gruppo, descritte come frutto di discernimento individuale e in comune, sono soltanto in realtà scelte ideologiche rivestite dal linguaggio del discernimento, ma provenienti da un processo che solo formalmente assomiglia a un vero discernimento? In tali casi anche la teologia opera come uno strumento per interessi ideologici e diventa una distrazione.”
Non sono distrazioni semplici da capire e riconoscere, ma quella sull’obbedienza ci mette a contatto con un ulteriore questione che ci è difficile comprendere in tutta la sua importanza guardando da fuori: “La distrazione dell’Io è più forte quando la comunità, o la relazione spirituale con la comunità, si attenua o sparisce. Noi, persone consacrate, abbiamo preso un impegno di trovare la volontà di Dio insieme, come un corpo, come una comunità di fede, di missione, di amore. Qui troviamo il vero senso dell’obbedienza, questo voto dei religiosi spesso mal compreso. La cattiva notizia è che questo è molto difficile, particolarmente per i più visionari, i più intelligenti, i più dedicati a una causa importante o a un’altra. È sempre molto più facile andare da soli, secondo un’ispirazione personale (soprattutto mentale o emozionale). Abbastanza stranamente è più facile considerare se stesso come un profeta che discernere con altri e dover camminare umilmente con le debolezze del nostro pensiero o delle nostre proposte. Possiamo diventare profeti al di fuori della comunità, finché coloro che hanno autorità vogliono imporci il silenzio, e allora corriamo alla comunità per cercare protezione, anche a volte lamentando che la comunità o i suoi leader mancano di comprensione, coraggio, visione e sostegno. Non si tratta di volontà malata consapevole. Ci sono molti buoni desideri, molta visione, grande determinazione a fare la differenza… ma non di meno noi siamo distratti.” Sono solo alcuni punti sui quali mi sembra importante riflettere da fuori su alcuni ostacoli nel cammino dei consacrati che non consideriamo proprio.