Tra le poche certezze delle presidenziali americane c’è che era una scelta tra pandemia ed economia. Lo confermano gli exit polls. In un sondaggio dell’Associated Press, quattro votanti su dieci hanno risposto che il problema più importante, che sovrastava tutti gli altri problemi, è la pandemia. In un altro exit poll, condotto da Edison Research, la domanda era formulata diversamente: gli si chiedeva quale tema avesse determinato il loro voto. Solo uno su cinque aveva riposto: il virus. Un altro su cinque aveva citato la questione razziale. La maggioranza aveva risposto: l’economia. Un elettore su tre aveva riferito che negli ultimi otto mesi qualcuno nella loro famiglia aveva perso il lavoro o aveva avuto il reddito decurtato per colpa del Covid.
C’erano molte differenze tra Trump e Biden. Ma una salta agli occhi: il diverso atteggiamento di fronte alla pandemia. Biden aveva continuato a ripetere che la priorità era combattere il virus, prendendo tutte le misure necessarie. Aveva addossato alla miopia dell’amministrazione Trump la responsabilità dei 250.000 morti in eccesso. Trump aveva continuato invece a prendere la pandemia sottogamba. Esattamente come aveva fatto sin dal primo momento. Si era rassegnato sì ad indossare la mascherina. Ma sosteneva la priorità dell’economia, non del fermare il virus. Aveva vantato gli ultimi successi dell’economia americana. Era arrivato ad accusare i medici di diffondere valutazioni allarmanti per far soldi sulla pandemia. Negli ultimi comizi aveva riscosso applausi scroscianti con la promessa di licenziare il dottor Fauci, il capo della task force anti-epidemia, colpevole di aver fatto previsioni veritiere ma troppo allarmanti.
L’America si ritrova spaccata a metà. Come quattro anni fa, e più di quattro anni fa. Le ragioni della lacerazione verticale, che avevano portato all’elezione di Trump, ci sono ancora tutte. Ma ora se n’è aggiunta un’altra, che potrebbe rivelarsi decisiva: la pandemia. E, se si guarda alla partecipazione record al voto, ha contagiato anche molti di quelli che la volta prima non erano andati a votare. Non era scontato da che parte avrebbero finito per pendere. Ma era chiaro che l’esito sarebbe dipeso da loro. Chi era preoccupato dell’impennata dei contagi e delle vittime ha evidentemente scelto per lo più Biden. Chi era più preoccupato delle conseguenze sull’economia, sul proprio lavoro, sul proprio tenore di vita, ha scelto Trump. Si potrebbe parafrasare così un celebre motto di Clinton: It’s the Economy and the Pandemics, stupid!
Salvare vite con un lockdown, o salvare i posti di lavoro? Il dilemma si è posto in termini simili anche in Italia e in Europa. Simili, non identici: in America se si perde il lavoro e non se ne trova un altro non ci sono gli ammortizzatori che ci sono dalle nostre parti. In Inghilterra all’inizio Boris Johnson l’aveva posto in modo più simile a Trump: prepariamoci e vedere morire i nostri cari, noi ce la caveremo con l’immunità di gregge. Poi, per fortuna, ha dovuto cambiare idea. Si scontrano, mi verrebbe da dire in tutto il mondo, due concezioni della vita. Persino in Cina, che non è una democrazia, hanno scelto di salvare vite. In America la scelta resta in bilico col conteggio dei voti. Attenzione: non è affatto una scelta scontata. Nel Novecento l’Europa aveva scelto due guerre, due immani massacri. E quasi non si era accorta di un massacro più immane ancora, i cento milioni di morti, nel mondo, per l’epidemia di Spagnola. Finì che si ebbero la pandemia, il fascismo, la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale, tutte insieme e tutte quante. Ma senza percepire il legame tra l’una e l’altra cosa.
Mi ha colpito uno staff report della Federal Reserve Bank di New York a firma Kristian Blickle pubblicato il 20 maggio 2020, in piena crisi Covid. Si intitola Pandemics Change Cities: Municipal Spending and Voter Extremism in Germany, 1918-1933. Suggerisce che la spagnola, con le sofferenze inflitte alla popolazione, e a causa delle difficoltà finanziarie che avevano impedito alle amministrazioni locali di svolgere appieno il loro ruolo di assistenza, ebbe conseguenze rilevanti nell’allontanare nei primi anni Trenta l’elettorato tedesco dalla democrazia di Weimar e spingerlo verso i partiti estremisti, in particolare quello nazionalsocialista di Hitler.
Foto: Tolga Akmen / AFP