Quel che sappiamo per certo è che Qassem Soleimani trascorreva la sua vita passando da uno all’altro dei fronti bellici dove l’Iran è impegnato ad esportare la rivoluzione khomeinista: Siria, Yemen, Iraq, Libano. La pulizia etnica gli era cara perché sapeva bene che solo cambiando la demografia di quei Paesi avrebbe potuto rendere stabili le conquiste che riusciva a compiere nella corsa alla conquista militare dell’islam. Ma cosa c’è al fondo di questa lotta? Due categorie importantissime; la superiorità dello spazio rispetto al tempo e l’Apocalisse.
Nella concezione apocalittica il tempo non è più un fattore lineare, ma un susseguirsi di scosse che avvicinano la scossa finale, Armageddon. La battaglia deve creare una battaglia ancora più grande per arrivare il più presto possibile alla battaglia finale. Ecco perché lo spazio è superiore al tempo. Lo spazio si conquista, determina un aggravamento dello scontro col nemico facendo accelerare il momento del confronto finale tra bene e male.
Si dice che un altro apocalittico sia Hasan Nasrallah e come loro lo fosse l’ex presidente iraniano Ahmdinejad, che aveva preparato un plastico dell’autostrada del Mahdi. Il Mahdi, che tornerà alla fine dei tempi, doveva avere un’autostrada riservata a sé, al suo ritorno glorioso tra i suoi fedeli.
Ci credano o non ci credano personalmente a queste cose conta poco. Ma mentre gli iraniani non sono lieti di spendere soldi per un’autostrada riservata al Mahdi o per uccidere siriani (più di sei miliardi di dollari) costoro sono formati in questo humus culturale, ma soprattutto hanno creato milizie che li seguono con convinzione, una convinzione per la quale sono pronti a morire nel nome dell’avvicinamento del giorno del riscatto finale, dell’affermazione universale della giustizia.
La cosa impressionante è che questa stessa cultura si ritrova in settori americani. Quando ordinò l’invasione dell’Iraq George W. Bush avrebbe telefonato, in base a mai smentite ricostruzioni di stampa, al presidente francese Jacques Chirac, parlandogli di Gog e Magog, i ben noti popoli dell’Apocalisse. Chirac avrebbe chiesto al suo consiglio di sicurezza di spiegargli a chi si riferisse il presidente degli Stati Uniti. Tutto questo potrebbe far ridere, ma non credo sia la reazione giusta.
Nella sua prima apparizione in pubblico dopo aver ordinato l’azione militare che ha eliminato Qassem Soleimani, Donald Trump ha affermato davanti agli evangelicali che lo attendevano in Florida che “Dio è dalla nostra parte”. Non ha parlato di Gog e Magog, certo, ma l’espressione usata e l’audience davanti alla quale è stata formulata, con tanto di promessa di far introdurre nelle scuole americane la preghiera collettiva, non sono da meno di quelle del sui predecessore.
Trump dà l’aria di essere più portato a usare certe tendenze che a condividerle rispetto a Soleimani, ma la domanda vera è quanto la cultura apocalittica entri nei circoli che decidono il domani.
Se per noi, o almeno per me, tutto ciò ha dell’incredibile, bisogna prendere atto che non è un’esagerazione né scriverne né parlarne. Il comportamento trumpiano, rispetto a quello del suo predecessore, è molto più “pratico”. Lui non ha invaso nessun Paese. Ha ucciso l’uomo che voleva impedirne la rielezione cucinandolo nel fuoco lento di un’infinità di provocazioni che lo rendessero un pupazzo impotente agli occhi dei suoi elettori. L’ultima, l’attacco all’ambasciata americana di Baghdad, ricordo concreto di quanto accadde all’ambasciata americana a Tehran. Ora, dopo averlo eliminato in modo chiaramente inatteso, Trump è pronto a vincere in caso di negoziato, avendo dimostrato di aver piegato il nemico con le cattive, o a vincere in caso di conflitto bellico, che con questa spregiudicatezza non voglio immaginare quali azioni potrebbe comportare. Certo non vedo un’America sotto attacco votare contro il Commander in Chief.
Diversa è la situazione degli iraniani, degli iracheni, dei siriani e dei libanesi che non credono nel pensiero apocalittico, non vogliono avvicinare l’Armageddon, preferiscono il tempo allo spazio, perché ritengono il tempo un fattore lineare nel quale avviare processi. Questi popoli, questi esseri umani, cristiani, sunniti, sciiti e di altre denominazioni arabo mediorientali, si sono manifestati nel nostro disinteresse da settembre, uniti nel nome della comune cittadinanza contro i cantori dell’odio confessionale, del pensiero apocalittico. Nell’ordine questi cantori in quelle terre contese sono stati gli apocalittici al-Baghdadi e Qassem Soleimani, entrambi eliminati da Donald Trump, alleato di altri apocalittici. E’ questo il punto delicato.
Nulla in Trump lascia trasparire attenzione per i movimenti popolari, le piazze di Tehran, Beirut e Baghdad che hanno sfidato costoro e i loro sostenitori, utilizzatori e finanziatori. Ma nulla di noi o tra noi ha dimostrato attenzione verso di loro. Sono stati insieme, per mesi, al freddo, disarmati, in piazza. Molti di loro, migliaia, sono stati uccisi dai sodali di Soleimani, a Tehran e Baghdad. Ma il nostro interesse verso di loro lo abbiamo come nel 2011, cioè non lo abbiamo visto. I nostro giornali o telegiornali li hanno ignorati per mesi, sebbene i servizi di Amedeo Ricucci da Baghdad per TV7 abbiano dimostrato che non era impossibile capire l’enormità di ciò che stava accadendo nella nostra disattenzione dovuta alla predilezione per il Transatlantico e i suoi poco edificanti spettacoli.
Piegati a questa visione ombelicale, da settembre al primo dell’anno abbiamo ignorato completamente questi avvenimenti, per parlare per la prima volta in vita nostra di Qassem Soleimani a lettori e pubblico solo dopo la sua uccisione. E’ così che che il pasdaran è diventato il nuovo Guevara di tanti ignari antagonisti. Un mito dell’antiamericanismo inconsapevole di tutti gli altri imperialismi. Ecco allora la nuova domanda: se nell’ignoranza e nell’inconsapevolezza non rischi di nascere anche un altro pensiero apocalittico: quello di eleggere anche un criminale comune a simbolo del riscatto, ansiosi di prendere parte in una guerra finale tra bene e male. Che non c’è, ovviamente. Mentre avremmo ben altro di cui preoccuparci. E, se non ho sbagliato lettura, qualcosa di molto grave. Che malattia sta crescendo in quegli ambienti che Trump ha ritenuto di ingraziarsi dicendo loro che “Dio è dalla nostra parte”?