Lo ammetto. Una cinquantina di anni fa, in qualcuna delle serate in cui mio padre e i suoi amici chiacchieravano bevendo qualcosa e fumando le macedonia oro, ho sentito dire frasi analoghe a quelle che domenica il cavaliere ha pronunciato nel giorno della memoria delle vittime dell’olocausto. Perché allora oggi sento rivoltarsi lo stomaco, mentre posso pensare ancora con affetto a quegli uomini seduti sulle poltrone del salotto?
Dapprima credetti che avessero ragione e diedi così il mio piccolo contributo alla guerra fredda in miniatura che si svolgeva in ogni famiglia, in ogni condominio, in ogni rione. Ma poi compresi meglio. Uno era stato anni in campo di concentramento in Germania, un altro aveva fatto la campagna di Russia e la drammatica ritirata con cui si era conclusa, un altro ancora aveva consumato infinite giornate sotto il sole dell’Africa settentrionale. Non erano eroi e non erano riusciti a ridare un senso alla loro vita passando dall’altra parte, ribellandosi, facendo la resistenza; e allora furono costretti a cercare qualcosa che giustificasse la loro partecipazione a quell’immane tragedia della seconda guerra mondiale. Non era tutto sbagliato; non poteva essere tutto sbagliato, altrimenti avrebbero dovuto buttare via la loro giovinezza, troppi anni della loro vita.
Ma oggi che significato può mai avere ripetere quelle frasi, riprendere quell’atteggiamento, sporcare una cerimonia che ricorda a quale livello possa arrivare il male che l’uomo è riuscito a compiere?
Non c’è misura, non c’è giustificazione possibile, non c’è armonia nelle parole pronunciate ieri di fronte al binario 21 da cui partivano gli ebrei deportati.
Un millennio e mezzo fa, Severino Boezio scriveva:
Che cosa sia la musica umana può capirlo chiunque si cali in se stesso. Che cosa infatti unisce al corpo l’incorporea vivacità della mente, se non un ordinato rapporto (coaptatio), come se si trattasse di una giusta combinazione di suoni gravi e acuti per produrre un’unica consonanza? Inoltre che cos’altro può associare tra loro le parti dell’anima, la quale – secondo la dottrina di Aristotele – risulta dalla fusione dell’irrazionale con il razionale? E ancora: che cosa riesce a mescolare gli elementi del corpo, oppure è tale da tenerne insieme le parti con un suo proprio ordinato rapporto (coaptatio)? (Boezio, De institutione musica 1, 2)
Ecco. Quelle parole non meritano di essere considerate un giudizio avventato di carattere storico, una strumentale presa di posizione politica, una triste e viscida manovra elettorale; sarebbe troppo onore. Quelle parole sono state una enorme, incommensurabile stonatura, e il mondo è diventato un po’ più brutto.
Per dare un minimo contributo a una possibile, incerta armonia, almeno della mia mente, mi sono collegato all’Archivio Musicale dei Ghetti e Campi (1933-1945) e ieri sera ho sentito uscire dal mio pc alcune delle composizioni in esso contenute. L’Archivio è una filiazione dell’Archivio Unificato della Letteratura musicale concentrazionaria dell’Istituto Musica Judaica di Barletta e
comprende scritti provenienti dai Ghetti di Polonia, Lituania, Cecoslovacchia e Bielorussia; da Theresienstadt; materiale musicale della Resistenza partigiana in Europa; materiale musicale scritto da musicisti italiani in Campi di concentramento; spartiti, partiture e parti staccate, frammenti, testi letterari (privi di testo musicale) …
Aver fatto suonare ancora una volta qualcuna di quelle note ha restituito un minimo di coaptatio al rapporto tra il mio stomaco sofferente e l’incorporea vivacità della mente.
Non ho altre parole, così ho semplicemente condiviso nel mio profilo le vostre …
Quello che va contrapponendosi è davvero lo scontro fra consonanza e dissonanza, fra armonia e stonatura, fra la filo-sofia e la più becera ignoranza.
Nell’odio che si fonda sulla più deliberata e totalizzante mancanza di empatia non vi può essere NULLA DI GIUSTO. Il punto è che se si ammette che non tutto era sbagliato, si giustifica l’orrore di quei fatti.
La nostra cultura, quella che mi piace pensare abbia creato i Mozart, i Dante, i Calvino e gli Steinbeck ha anche fallito; ed è un fatto se imbracciando la mia chitarra faccio succedere quell’armonia data dagli accordi DO LA- FA DO RE- SOL7 DO cantando Auschwitz; capolavoro di Francesco Guccini purtroppo nato da quei tristi orrori.
Anche io ho avuto indisposizioni fisiche in questi giorni. Un reduce dei campi di concentramento ha detto a dei ragazzi poco più giovani di me: Fate si che non succeda ancora! Ma saremmo noi, come ho scritto altrove un paio di giorni fa, che dovremmo urlarlo a chi ha la possibilità di incidere sul nostro futuro: in modo che i presupposti che hanno portato a quegli orrori possano finalmente essere annientati.
Come sia avvenuto? Rendendo i propri simili degli animali, dei parassiti, così giustificando una crisi economica sfociata nella tortura e nell’annientamento all’insegna del fantismo e della totale mancanza di umanità.
In teoria dovrebbe avvenire condannando senza alcuna remora quel passato e, sopratutto, PONENDO LE BASI PER IL FUTURO. E, si badi bene, non un futuro di pace e amore, un po’ gratuito, da figli dei fiori … ma un futuro di educazione, di responsabilità politica ed etica. Ma se questi sono i presupposti, se questi sono i protagonisti che stanno conducendoci verso analoghe crisi (economiche e culturali) … saremo ancora a milioni in polvere qui nel vento. E il rischio c’è.
Il “losco figuro” è un capobanda. La sua voce è quella di un coro. La sua ascesa non era irresistibile, e chi gli si è opposto pro forma gli era complementare.
E in un certo senso ha pure ragione: sotto il profilo della corruzione e della perdita di etica, privata e pubblica, i suoi venti anni infatti appaiono peggiori del fascismo a una come mia madre, classe 1921, elettrice del 2 Giugno 1946 (per la Repubblica, ovviamente: e forse l’ultima in vita?), antifascista e figlia di antifascisti, che ha per il nanerottolo ceronato e tinto uno schifo senza fine.
La citazione di Boezio è meravigliosa. So che è un po’ una reazione da filosofi, ma lo dico comunque: mi rincuora che alle parole di quel losco figuro si possa contrapporre questo passo di Boezio.