AVANTI POPOLI!

Alessandro Lanni

Giornalista e autore di "Avanti popoli! Piazze, tv, web: dove va l'Italia senza partiti" (Marsilio 2011) e "Enigma Grillo" (40K - Unofficial 2013) http://40k.it/enigma-grillo

La battaglia di Mentana, sedotto e abbandonato da Twitter

Alla fine Enrico Mentana non ha retto e se ne è andato da Twitter. Malgrado avesse consigliato di non badare alle “parole scorrette ma ai fatti”, non ha retto – dice – ai troppi insulti, contestazioni, ecc. che quotidianamente arrivano o possono arrivare a chi fa della visibilità pregressa la cifra della propria presenza sul social medium dell’uccellino. E quest’ultimo non è un giudizio, è un fatto.

Una piccola cronologia dei suo tweet restituisce i motivi del commiato del giornalista. (A dire il vero, almeno per ora Mentana non è andato via definitivamente, il suo account è ancora attivo come a dire che ci sto pensando se. In fondo, decidere di cestinare di punto in bianco una rete di followers di oltre 300mila persone – agilmente moltiplicabile grazie alle condivisioni – non si fa a cuor leggero. Ma questo è anche un altro discorso. UPDATE: Mentana ha cancellato il suo account).

Poi

E ancora

E dopo poco, conclude

Come era inevitabile, e come in parte era accaduto qualche giorno prima con la denuncia di Laura Boldrini, l’episodio ha riaperto una ferita che ciclicamente sanguina su cos’è e com’è la rete, sul senso di starci dentro, e sulla capacità di comprenderne le dinamiche. Da una parte si tratta di un fenomeno antico per il web – don’t feed the troll si diceva già negli anni ’90 – dall’altra sembra sempre più quotidiano e in aumento dalle nostre parti.

Malgrado ci si sforzi, sembra che dalla polarizzazione old/new non si riesca a scappare. “Noi capiamo” vs. “voi non capite”, dove “noi” e “voi” sono interscambiabili.

Ha ragione Giovanni Boccia Artieri, sociologo della comunicazione dell’Università di Urbino, quando twitta che:

Innanzitutto perché le celebrity su Twitter lo sono un po’ meno, o quantomeno lo sono in maniera diversa. Dopo lo sdoganamento di massa di Twitter (in maniera definitiva, in Italia lo daterei con #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend di Fiorello, settembre 2011), l’ingresso senza paracadute di molti volti più o meno noti della tv, dei giornali, della politica, delle spettacolo, ha determinato un aumento dello sputa-insulta al vip.

La disintermediazione e la prossimità producono strani effetti su chi non ha tempo e voglia di starci dietro. A volte di euforia eccessiva per il feedback immediato, il complimento e l’affetto, altre di scoramento e frustrazione. E allora, chi ha spazio per farlo, pubblica critiche a un popolo indistinto che qualche mese fa era “il popolo della rete” oggi è “Twitter” considerato come un tutto unico (sul paradosso del ridurre Twitter a uno ne avevo già scritto su questo blog e tra poco uscirà qualcosa qui).

La questione, mi sembra, è che il web non è la tv e che la comunicazione one-to-many, di cui la visibilità e la celebrità sono un cardine, è molto diversa da quella many-to-many in cui, nel bene o nel male, sei gomito a gomito con chiunque.

Portare la propria reputazione da fuori a dentro la rete ha certo i suoi vantaggi – vuoi mettere parlare in presa diretta di quel che vuoi a centinaia di migliaia di persone? – ma anche rischi e se non sai nuotare almeno avere la ciambella è consigliabile. Beppe Grillo ci campa ancora con questa trasfusione di notorietà dall’analogico al digitale.

Quando Mentana twitta la personale difficoltà a risalire la corrente on line dopo che un errore ha iniziato la sua peregrinazione digitale, ripercorre una strada battuta e nota. Quella, per esempio, di Obama che col suo staff (il giurista Cass Sunstein era l’ideatore) nel 2008 aveva messo in piedi una struttura per correre dietro alle bufale e ai rumors sul “Barack è un musulmano o uno straniero” e provare a cambiare segno a quelle dicerie. Impresa improba come hanno dimostrato qualche anno fa un’equipe romana di matematici: troppi nodi da monitorare rispetto alla velocità di propagazione.

«Con Twitter la tecnologia offre al popolo un modo per sfogarsi in tempo reale». Non so se è più fastidioso schiacciare Twitter su uno sfogatoio o i suoi utenti (la maggior parte dei) su “popolo”. Massimo Gramellini ha scritto qualche nota a margine della vicenda Mentana/Twitter, ma al netto dell’ovvio (che l’insulto è scemo) si muove come un elefante in una cristalleria. Soprattutto, vorremmo dire a un Gramellini (ne esistono diversi sui quotidiani italiani in questi giorni) che proprio quella contrapposizione “noi” e “loro” è più complicata e sfumata oggi. In altre parole, Mentana è un po’ meno Mentana su Twitter. O, volendo lo è in un modo diverso.

E dunque? La morale? Che le cose sono molto complicate (bravo, eh?). Di certo è più semplice far per pesare il proprio ruolo in tv che su Twitter e per questa ragione la posizione della celebrity deve essere diversa. Brutalmente si potrebbe dire che deve scendere dal piedistallo.

D’altra parte però è difficile continuare a ripetere che Twitter è uno strumento come il telefono e non è colpa della cornetta se litigo e mi insulto con quello dall’altra parte. Né della piazza se qualcuno offende qualcun altro in piazza. Twitter NON è il telefono né la piazza. Non è un caso – ma anche questo è un altro discorso – che un tweet non è intercettabile e una telefonata sì e che se ti metti a insultare qualcuno in piazza o sei il direttore d’orchestra un po’ pazzo che si esibiva sulla fontana del Tritone oppure chiamano il 113.

Non è solo l’addio di Mentana (ce ne faremo una ragione), le lamentele di Gramellini e Battista, la denuncia della Boldrini, a dire qualcosa di complicatamente diverso. Il tutto si potrebbe condensare in quella sensazione piccola o grande, frequente o rarissima, di disagio che proviamo quando un utente ci offende, insulta, o quel che è, on line.

Lo scrive bene Stefano Menichini, direttore di Europa.

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