Diceva, ricordando Epicuro, che quando ci sono io, non c’è la morte; quando c’è la morte, non ci sono io. Il 29 giugno c’è stata la sua morte e da quel momento Margherita Hack non c’è più.
Avevo comprato il suo libro Sotto una cupola stellata (Garzanti 2012) e, dopo la notizia della sua morte, l’ho letto tutto d’un fiato. Parla del suo rapporto con le stelle, spiega lo sviluppo dell’astronomia nella scienza moderna e soprattutto in quella contemporanea, ma soprattutto torna spesso sul tema della morte – che non teme – e della sofferenza o della perdita della pienezza della vita – che invece dice di temere molto -. Parla spesso anche di Dio e si dichiara atea e laica, nel senso di chi non crede ma non intende convincere nessuno della propria posizione. Meglio sarebbe dire – come lei stessa sottolinea – agnostica, dal momento che è evidente l’impossibilità di stabilire scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio (p. 39).
Decisiva per definire il suo atteggiamento laico è l’osservazione secondo cui nella vita
ho analizzato – e tutt’ora analizzo – i fenomeni per ciò che sono, evidenti a noi; perché mi preoccupo di constatare che essi ci sono e non del perché ci sono (Ibidem).
Qui sta probabilmente la differenza radicale: nell’accettazione o nel rifiuto della possibilità stessa di un senso, nell’alternativa fra la capacità di farne a meno, di convivere con la sua assenza, e la incapacità (impossibilità?) di liberarsi delle grandi domande che, anche per la meraviglia suscitata dal cielo stellato sopra di noi, continuano a riproporsi:
Levo gli occhi al cielo e alla bellezza delle stelle; ammiro lo splendore del sole capace di illuminare il giorno, e la luna che dirada le tenebre notturne. Sono meravigliose queste cose, degne di lode, anzi degne di stupore; e neppure sono terrene, già celesti esse sono. Ma non sta qui la mia sete; tutto questo ammiro, tutto questo lodo, ma ho sete di colui che ne è l’autore. (Agostino, Expositio in psalmos 41).
Margherita Hack conosceva le stelle e comprensibilmente non aveva avuto tempo per conoscere Agostino, che nel libro è citato una volta (p.43), solo per essere accostato – in quanto sostenitore del ruolo essenziale della vera religione – agli inaccettabili interventi del Vaticano nella vita politica italiana. Neppure conosceva il Dio dei pensatori medievali e rinascimentali che ritiene lo immaginassero con la barba bianca e assiso in trono (p. 63).
Personalmente non riesco a definirmi né ateo né agnostico, perché vorrei non essere caratterizzato da un’alfa privativa, come se l’essenza di chi si sente in ricerca potesse essere inividuata solo nella mancanza di qualcosa. Piuttosto preferisco l’insegnamento ancora di Agostino:
Cerchiamo dunque con l’animo di chi sta per trovare e troviamo con l’animo di chi sta per cercare (De trinitate 9.1).
Allora mi sembra che il saluto migliore rivolto a Margherita Hack sia quello apparso in un messaggio su twitter: Così grande e simpatica che Dio farà finta di non esistere per non darle un dispiacere.
Deciso: domani come prima cosa vado in libreria a comprare Sotto una cupola stellata, soprattutto per il binomio stelle e morte che mi fa impazzire, anzi forse mi fa morire.
Quanto ci mancherai grande stella Margherita!!!!!!
Credo che il rapporto con Dio sia squisitamente personale e individuale, non possiamo sapere che cosa realmente pensasse la Hack e difficilmente sapremo come si comporterà Dio, anche se quel tweet è davvero molto carino; ma quando diceva (più o meno) troppo comodo invocare un Dio si limitava a richiamare tutti alle responsabilità personali. Il che per uno scienziato o ricercatore, così come per qualunque persona, è essenziale. E troppo spesso dimenticato.
Il Dio che farà finta di non esistere mi sembra quasi il rovesciamento della prova ontologica secondo Manganelli: Se è Dio, può anche esistere!. 🙂
Bellissimo … 🙂 🙂 🙂