Di Diego Armando Maradona qualcuno proprio non sa dire che è stato la poetica di ogni scugnizzo. Eppure sarebbe così semplice… Per questo mi sembra importante riflettere un attimo su alcune reazioni alla morte di questo genio del calcio. E’ infatti normale che ci siano stati alcuni rifiuti di eccessi retorici, ma quelli sono stati i nostri eccessi, non i suoi: l’ultimo colpo di genio di Maradona è stato un altro: far emergere tutta l’insopportabilità del diffuso bisogno di credersi giudici… e a quel punto ovviamente condannare: infatti chi si sente un giudice senza esserlo vive del giudizio delle magagne altrui. Ecco così le parole astiose: Maradona ha evaso le tasse, si è drogato, ha sfruttato i poveri diventando ricco sfondato. Dunque quello che conta non è quel che il genio fa nella nostra vita, ma quello che fa nella sua. E’ questo il problema, la malattia che alberga in tanti di noi. Questa malattia può ritrovarsi in tanti ambienti: ma direi che se riguarda un credente fa emergere la sua indisponibilità a riconoscere la grazia, se invece riguarda un ex militante della sinistra riguarda l’indisponibilità a vibrare per qualcosa che sia fuori dai suoi testi sacri, se riguarda un intellettuale “borghese”, meglio “piccolo-borghese”, riguarda la sua indisponibilità ad andare oltre, anche se per un momento. Costoro, guarda caso, sono tutti giudici inappellabili, degli altri ovviamente.
Ho visto un video, grazie a un gesuita argentino che lo ha condiviso, in cui Maradona parla in uno stadio gremito e dice: “ho molto sbagliato e ho pagato. Ma il pallone non si sporca.” Ma questo a loro non interessa. Giudicano, condannano, perché sono giudici al di sopra e al di là della storia. Siccome non possono giudicarlo sul campo, lo giudicano fuori, come quelli che guardando un Caravaggio dicono “ il dipinto di un poco di buono”.
La storia però esiste, è quella domenica in cui uno scugnizzo di uno dei tanti rioni maledetti di Napoli non ha perso, come è condannato a fare sempre nella sua vita, no: quella domenica lui ha vinto. E’ tornato a casa e ha detto “abbiamo vinto, e che meraviglia di gol abbiamo fatto!”. Lo ha detto in prima persona plurale e prima non gli era mai accaduto. Questo scugnizzo non era su quel campetto fangoso dove Diego andò a giocare con altri scugnizzi come lui. Ma anche lui grazie a Maradona può vincere.
Ma al giudice che si pone al di sopra e al di là della storia dall’interno di tanti di noi l’arte non interessa, la strutturalistica non si cambia, quell’espressione della grazia non interessa, andare oltre non interessa: perché tutto questo non conta.
Quel giudice deve dire agli incolti belanti che Maradona è un “peccatore”, che il calcio è “sovrastruttura”, che l’arte è perdita di tempo. Cosa contano un sorriso, un momento di gioia? Ciò che conta è la precettistica (destra), la strutturalistica (sinistra) o la somma finale (piccolo-borghesi).
Se così fosse la vicenda delle reazioni alla morte di Maradona saprebbe indicarci il nesso che unisce i tetragoni strutturalisti ( della sinistra) i tetragoni moralisti (della destra) e la cultura piccolo borghese (che non può spingersi neanche fino all’azzardo di essere tetragona) che non vede differenza tra vivere e trascorrere. Sono tre stili che presumono e comportano il giudizio.
La vita delle periferie costoro non l’hanno mai vista, non la conoscono e non la vogliono conoscere. Maradona invece è un genio che sa caricarsi sulle spalle i sogni di Napoli, sogni traditi, sogni abbandonati. Un gran bell’articolo di Andrea Monda mi ha fatto pensare che forse per questo era basso, tozzo, anche grasso. Ma quei sogni li ha saputi liberare almeno un giorno a settimana, quello che amministrativamente è un giorno dedicato al riposo, e proprio in quel giorno li ha fatti volare. Sono rimasti sogni? Sono rimasti “sovrastruttura” al servizio di un mondo cialtrone e viziato? Sono rimasti fantasia incomprensibile, trasgressiva proprio perché fantasia? Che triste la vita di chi valuta ciò che gli altri fanno nella loro vita e non nella nostra…. Il giudice, non di professione ma di carattere, non può gioire neanche in quell’ora d’aria che un genio può concedere anche a noi.