Forse Renzi funziona. La prova è data dalle tante critiche e diffidenze che la sua azione suscita, che soprattutto vengono dal mondo della sinistra, cioè dal quel mondo che, da tempo, ha fatto dell’immobilismo, dell’impotenza e dell’adesione supina del capitalismo finanziario, la sua linea di fondo. Nessuno sa se Renzi riuscirà a superare tutti gli ostacoli che deve fronteggiare. Questo lo si saprà solo a consuntivo. Ma se nessuno si cimenta è sicuro che a prevalere sarà l’immobilismo e la conseguente decadenza di carattere secolare del Paese. Mi sono trovato, in varie occasioni, a dirigere o partecipare a progetti complessi. Questa esperienza mi ha insegnato che, se per partire si aspetta che tutti gli elementi del progetto siano perfettamente a posto, non si parte mai. E se non si parte mai, è sicuro che non si arriva mai. Quello di pretendere che tutto sia a posto prima della partenza, è il trucco preferito degli immobilisti. Importante, invece, è che la direzione di marcia sia giusta, che le idee di fondo siano chiare, che il coraggio sia pari alla sfida e che si sappia esercitare una vera leadership capace di coagulare le energie. Allora si può partire, con l’occhio attento al cruscotto, pronti a mutare traiettoria, ad ogni curva imprevista, secondo l’antico principio della teoria manageriale: “Try and correct”. La prima manovra economica impostata dal governo Renzi, con la sua evidente caratteristica distributiva, è la prima manovra di sinistra, da tempo immemorabile, ed è correttissima nel favorire chi più ha sofferto per la crisi e per le folli politiche economiche imposte dal neoliberismo. Il suo discorso verso l’Europa, con approccio disciplinato ma dignitoso, e con la volontà di contribuire attivamente ad una politica economica europea meno ottusa di quella che tanti danni ha fatto al concetto stesso di Europa, è anche molto corretto. Il suo parziale allentamento dalla camicia di forza imposta sul lavoro da Monti-Fornero è più che corretta, tanto è vero che suscita la reazione dei vertici sindacali che, una volta di più, si dimostrano la forza più retriva del Paese, dopo il berlusconismo.La sua ansia di incidere veramente nella smisurata spesa pubblica (compresa quella militare) e nei relativi sprechi è, per ora, ancora insufficiente ma, almeno, si vede, finalmente, qualche sforzo serio. Come serie e pericolose, sono le ovvie reazioni degli interessi colpiti.
E’ troppo facile elencare tutto quello che manca: una dichiarazione di guerra solenne, in sede istituzionale, contro la corruzione dei colletti bianchi e contro la morsa sempre più stringente della malavita organizzata; una seria riforma della giustizia; provvedimenti incisivi contro il cappio ammazza cristiani del credito bancario; una riforma organica delle autonomie locali; una organica riforma fiscale e altre ancora. Ma non si può pretendere tutto e subito e sciupare carta e penna per ammonire Renzi dei possibili ostacoli è esercizio futile. Li conosce molto bene, come li conosciamo tutti, L’importante era agitare l’acqua stagnante e uscire dalla sindrome immobilista dominante nel Paese e soprattutto dalla cultura di una certa sinistra che Renzi ha, meritatamente, rottamato. Per capire meglio si faccia il raffronto con la situazione al Comune di Milano ( non mi riferisco alla città ma al governo della città). Qui un sindaco tremebondo è fermo nel mezzo dello stagno ed ogni suo sforzo è diretto, invero con molto successo, a bloccare ogni possibile increspatura. Nei giorni scorsi una consigliera eletta in zona 6, si è dimessa illustrandone, in una lettera aperta, le ragioni, concentrate sull’assenza di ogni azione per le periferie e per l’autonomia e responsabilizzazione delle zone. “Quieta non movere” dicevano gli antichi. Il guaio è quando il “non movere” si riferisce a ciò che quieto non è. Nella sua ispirata e nobile lettera il consigliere Sara Brusa lancia un appello “Caro Sindaco devi osare”. Pisapia non osa niente ed è prigioniero della soffocante cultura di sinistra che si ribella come un sol uomo quando un assessore osa affermare una verità lapalissiana: la spesa sociale (che è sempre stata per fortuna una caratteristica fondamentale del Comune di Milano) non va tagliata ma riesaminata, in termini di efficienza ed efficacia, come ogni altra cosa. Non si osa nulla sul PGT che resta di stampo stalinista, non si osa nulla sulla costituenda città metropolitana (un’occasione unica per un’azione di rimescolamento e di leadership), non si osa nulla sul dopo Expo, non si osa nulla sul rilancio del lavoro, non si osa nulla su progetti che darebbero un grande impulso come il nuovo Ortomercato, non si osa nulla sulla Triennale. E così via. E ciò è un grande peccato per l’Italia perché avevamo sperato che, liberata Milano dalle cricche affaristiche, questa potesse svolgere un’azione di traino per l’intero Paese. Ma è un peccato anche per Milano perché, proseguendo così, non ci sarà una nuova operazione dei 51 e Pisapia riconsegnerà la città alle cricche affaristiche.
Marco Vitale