Più procedo negli studi e nella consapevolezza, spero di uomo libero e non soggetto ai miti del senso comune intellettuale o politico (almeno questo è il mio sforzo), più ho l’impressione che le espressioni “pari opportunità” e “eguali condizioni di partenza” siano false. Siano, voglio dire, altisonanti astrazioni, inservibili in concreto anche come meri ideali regolativi. Credo che il liberale si debba battere in primo luogo per le pari diversità, ovvero per le diversità tout court. Le differenze di ogni tipo (economiche, culturali, di gusto e sensibilità, di preferenze e costumi sessuali …) sono un bene in sé, da tutelare. Non vanno assolutamente “parificate”. D’altronde, ogni individuo non è mai uguale al se stesso di ieri e né lo sarà a quello di domani: come possiamo pretendere che sia uguale agli altri, seppure in fantomatiche “condizioni” o “opportunità”? Certo, l’individuo lotta per essere riconosciuto e non discriminato nella sua diversità, ma l’esito di questa sua lotta nessuno lo può garantire in astratto, nemmeno lo Stato. Ma, si dice: eguaglianza delle opportunità significa che ognuno deve partire dalle stesse basi e poi differenziarsi dagli altri per i meriti acquisiti sul campo. Bene, sono proprio quelle “uguali basi” che non afferro né concettualmente né praticamente: mi sembrano il riflesso pavloviano di un pensiero astratto, formale, matematizzante. Il rapporto fra condizioni e realizzazioni non si dà come rapporto fra due datità: è sempre in movimento, teso, dialettico. E per di più, e per fortuna, con tante sfaccettature e tanti sottili distinzioni interne. Come non notare poi che risultati di rilievo nel campo delle attività umane siano stati spesso raggiunti proprio da individui che partivano svantaggiati nella “lotteria della vita”? Non è stata forse proprio questa situazione che ha scatenato le forze vitali più potenti e recondite che albergavano nelle loro visceri? Quelle stesse che, in tanti “signorini soddisfatti”, per usare l’espressione di José Ortega y Gasset, restano sopite o languono? Per Luigi Einaudi, ad esempio, la vita è lotta e dobbiamo rifuggire dagli ideali quietistici o perfezionistici, anche da quelli solo tendenzialmente tali. E poi: “il bello, il perfetto non è l’uniformità, ma la varietà ed il contrasto”. Capisco che le condizioni di partenza a cui si fa riferimento siano soprattutto quelle economiche, ma anche in questo caso è la diseguaglianza relativa non l’uguaglianza rivendicata che, in una società liberale, permette di affrancarsi. Senza contare che non si può ridurre tutto al fattore economico, pur importantissimo, pena il ricadere in un determinismo di stampo marxista (anche se non so bene fino a che punto marxiano). Mi rendo conto che il problema delle nostre società occidentali sia oggi soprattutto quello di una forbice fra poveri e ricchissimi che si allarga sempre più. Ma questo per me, da un punto di vista liberale e empirico, significa che il politico sagace deve adoperarsi per creare le condizioni affinché quelle società siano più mobili o meno ingessate, più dinamiche e competitive, meno “castali”. E’ solo in questo orizzonte che può nascere e rafforzarsi la classe dinamica per eccellenza: quella borghesia o ceto medio che ha fatto la nostra fortuna. E che è un ceto morale prima ancora che economico: è l’insieme, sempre mobile e sempre precario, di coloro che si industriano, si danno da fare, creano opere. Sempre tuttavia con l’idea di differenziarsi, non di omologarsi agli altri. Se in una società c’è “circolazione” delle élites, come suol dirsi, si passerà con facilità dalla diseguaglianza iniziale ad altre e diverse di arrivo. Facilità di sistema intendo, perché quel passaggio non è in verità, nel concreto, mai indolore. E spesso esige “lacrime e sangue”. La vita è una gara truccata in partenza, e se così non fosse non sarebbe vita. La consolazione è che a un occhio attento i trucchi risaltano subito, così come per una mente abile una via di uscita è sempre possibile individuarla. Certo, ripeto, tutto ciò è faticoso. Ma ho l’impressione che questo travaglio, non altro, sia la libertà
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